Il leader di Italia Viva è riuscito a disarcionare Conte facendo quello che in tanti avrebbero voluto ma non avevano il coraggio di fare. Chi ne esce peggio è il M5s, ma anche il Pd non ha di che rallegrarsi
Tutti gli articoli di Opinioni
PHOTO
Disarcionare Giuseppe Conte (presenza ormai troppo ingombrante e forte non solo mediaticamente, pur senza partito e senza seggio parlamentare quindi senza paracadute), Bonafede e Casalino, in un colpo solo, non era cosa facile e, non era cosa da tutti. Era quello che aveva in mente ormai da tempo, Matteo Renzi e che è riuscito a portare a termine (pur nel periodo peggiore), nascondendo l’ipocrisia di tanti che avrebbero voluto farlo ma che mai avrebbero osato fare.
Renzi, l’unico che poteva sparigliare, lo ha fatto per due motivi fondamentalmente: 1) sapeva che mai e poi mai si sarebbe andati al voto anticipato (accadrà subito dopo la scelta del successore di Mattarella semmai); 2) ha fatto cadere il governo Conte 2, perché non aveva nulla da perdere, avendo già esaurito il suo potenziale non solo elettorale ma altresì reputazionale, non poteva che rischiare, sperando magari nel fenomeno filosofico-psicologico della cosiddetta eterogenesi dei fini.
La sua mossa del cavallo, si spregiudicata ma lucida e lungimirante, come solitamente può succedere in questi casi, è servita ad altri, a cui ha dato vantaggio, anche nel Pd. L’altra cosa che è ben riuscita a Renzi, è stata quella di fare implodere e spaccare come un melograno il Movimento 5 stelle e gli è riuscita, al di là di come lo stesso Movimento si riorganizzerà in futuro (l’emorragia di consenso è ormai inarrestabile, non sarà cosa facile recuperarlo ma, hanno la potenziale leadership alternativa e di riserva, cioè Di Battista che potrebbe tornare e rilanciare un movimento di lotta, o un Conte pronto a tornare da tesserato, come leader di un movimento di governo o, addirittura entrambi), una volta che si esaurirà la sbornia ministeriale - fintamente aggregante - di Di Maio, comunque geniale nell’aver concentrato su di se e solo su di sé, quel 33 per cento di consenso riscosso dal movimento 5 stelle alle scorse politiche.
Naturalmente, il fatto che i 5 stelle siano passati da 11 ministeri chiave (se non erro) ed un Presidente del Consiglio forte ed empatico, a 4 ministeri col peso rilevante solo di Di Maio, dimostra tutta la loro scarsezza nella capacità di trattativa e non solo in quella organizzativa. Lato pd, faccio solo l’esempio di Orlando (neo Ministro al Lavoro e alle politiche sociali) per porre in evidenza come ormai ci si arrocchi esclusivamente in posizioni di potere e non si ha proprio la minima cognizione di cosa sia la selezione e il rinnovamento della classe dirigente. Il fatto che, una sola persona - neanche se fosse il “Superman della poliedricità” - possa cambiare con duttilità e disinvoltura, più dicasteri (ricordo che lo stesso Orlando, fu già Ministro all’ambiente e Guardasigilli in compagini governative del recente passato), significa che le competenze spesso vengono mortificate e quindi sacrificate sull’altare dell’esercizio spartitorio del potere correntizio.
Per quanto riguarda Forza Italia, sembra esserne uscita rigenerata e rafforzata e, aver preso i ministeri chiave per le regioni e per il Sud (al di là che siano senza portafoglio): Carfagna (Ministro per il Sud) e Gelmini (Ministro per gli affari regionali e le autonomie), gli consegna le chiavi delle prossime elezioni regionali calabresi (si dovrebbe votare salvo emergenza pandemica, l’11 aprile prossimo venturo) per le quali, basterà scegliere un buon candidato (che hanno presumibilmente individuato: si pensa ad uno dei fratelli forzisti Occhiuto ma, alla fine potrebbe spuntarla l’attuale sindaco di Cosenza Mario ormai a fine sindacatura e, non il fratello Roberto a cui resta un anno abbondante di legislatura da deputato a Montecitorio ed anche il possibile ruolo di sostituto della capogruppo alla Camera dei Deputati Gelmini, ormai promossa ministro) e, da una posizione ormai di governo, oltre che con maggiore peso contrattuale anche in chiave coalizionale con la Meloni (unica rimasta all’opposizione del nuovo Governo Draghi) e con lo stesso Salvini (sempre meno concentrato sulla Calabria), potranno più facilmente convogliare il consenso dei calabresi a loro favore, così da fermare “l’onda rivoluzionaria” messa in campo dall’attuale vulcanico e rapace sindaco di Napoli - anch’egli in scadenza di sindacatura - De Magistris, già pronto a correre pur senza “agganci nazionali”, per conquistare la Regione Calabria dall’esterno dei confini regionali e, dall’esterno di partiti politici classicamente intesi, col solo appoggio delle forze civiche territoriali calabresi e, dell’altro candidato civico, il Geologo Tansi che, ha compiuto un passo di lato per dare spazio al più mediaticamente impattante sindaco partenopeo.
Il Pd sembra destinato al terzo posto, nel solito gioco al massacro che potrebbe - oggi più che mai - rafforzare la destra calabrese. Tornado al quadro nazionale, anche la lega ottiene degli ottimi piazzamenti ma lì, la partita futura sarà tutta da giocare, visto che Salvini potrebbe sostituire Renzi nel fare l’oppositore di un governo che appoggia e, contendersi all’ultimo sangue la leadership con la pur coerente Meloni. Sul neo Presidente del Consiglio Draghi, sembra chiaro che abbia accettato quest’ardua sfida, si per alto senso di responsabilità verso il Paese ma, altresì per spianarsi la strada verso il Colle più alto di Roma, così da diventare Presidente della Repubblica a cui sembra predestinato e, anche le scelte bilanciate dei ministeri (che si rafforzeranno meglio anche con le scelte dei viceministri e dei sottosegretari), vanno proprio in questa direzione. In attesa che questo nuovo Governo ottenga la fiducia delle Camere, per ora da Chigi è tutto.