Sono passati 28 anni da quel 23 maggio 1992 quando a Capaci, sulla strada del ritorno da Roma, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro vengono trucidati dalla mafia in un attentato che segnerà per sempre la storia del Paese. 

Gli uomini passano e le idee restano” diceva Giovanni Falcone. Restano i loro principi morali, le loro azioni che hanno cambiato il corso della storia e hanno ispirato altri uomini.

 

È straordinario come un ideale rimane e permane e abbia la potenza di spingere altri uomini ad agire in un certo modo.

Un ideale per cui si è combattuto una vita intera e che ha portato via la vita.

La lealtà e la coerenza verso un ideale portano a fare cose grandi, a dedicare la vita fino a sacrificarla per una causa superiore.

 

È vero che le idee restano, ma quali idee?

Le idee che rimangono sono quelle di uomini, come Falcone, che hanno lottato con coraggio anteponendo il futuro degli altri al proprio.

Per non vanificare il loro sacrificio  allora il compito di chi rimane quale dovrebbe essere? Salire con coraggio quei gradini degli ideali che questi uomini ci hanno lasciato in eredità con il loro esempio.

 

Quale nuova dimensione per la lotta alla mafia?

L’ impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata deve essere indirizzato verso l’offerta di una “valida alternativa” al delinquere.

Ciò richiede però un grande impegno  su più fronti: legislativo, giudiziario, politico, culturale, economico e psicologico per dimostrare che la strada da intraprendere per contrastare le mafie non puo’ e non deve essere esclusivamente giudiziaria.

La prospettiva dovrebbe essere l’adozione di una politica di sensibilizzazione delle coscienze, mirata al recupero del sentimento di legalità per innescare quel processo di cambiamento tanto sperato.

Innanzitutto divulgare cultura fra i giovani, coinvolgerli e farli innamorare della nostra storia passata invece di lasciarli troppo spesso ammaliati dal dio denaro, ottenuto senza  un’apparente eccessivo impegno.

Poi l’annoso problema della disoccupazione: la mancanza di lavoro costringe l’individuo a trovare  una soluzione per la soddisfazione dei bisogni primari della propria famiglia. Ecco che allora ricordare Giovanni Falcone significa ripensare la lotta alla criminalità e il concetto stesso di legalità.

 

Non c’è legalità senza giustizia  sociale. Se non vengono garantiti i diritti fondamentali- il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria- la giustizia rischia di diventare un principio che esclude e discrimina.

Falcone, sapeva bene che la legalità è un mezzo e non un fine, come Paolo Borsellino e come tutti i magistrati che hanno servito la democrazia lottando contro i poteri criminali ma anche contro i cosiddetti “poteri forti”, aveva come orizzonte la giustizia, cioè la libertà e la dignità di ogni essere umano quali valori a cui tutti dovremmo anelare.

Giovanni Falcone e le sue idee, concretizzate in fatti di legalità, onestà e dirittura morale camminano sulle gambe di quelli che, quotidianamente oggi, svolgono con scrupolo morale il proprio lavoro e conducono la propria vita senza lasciarsi irretire dalle tante forme di corruzione.