Non reggono le argomentazioni di Calderoli sulla connessione tra la riforma e la legge di Bilancio né si può dire che questa norma sia costituzionalmente necessaria. La giurisprudenza della Consulta però non è chiara. Cosa fare? Continuare a raccogliere le firme
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Chi studia la giurisprudenza costituzionale in tema di ammissibilità referendaria e decide di prender parola in proposito rischia di dover essere contraddetto tante volte quante sono le sentenze in merito pronunciate dalla Corte costituzionale.
Non c’è costituzionalista che non sappia che il giudizio di ammissibilità (e non già di legittimità) sul referendum abrogativo, di cui all’art. 75 Cost., ha conosciuto nel corso dei decenni una significativa innovazione rispetto all’istituto per come disegnato dal testo costituzionale. Innovazione dovuta a una giurisprudenza tanto pervasiva quanto imprevedibile che rende assai difficile anticipare (con un’accettabile dose di prevedibilità, appunto) la decisione che la Corte farà propria rispetto al giudizio che deve concludere entro febbraio qualora nell’anno precedente siano state raccolte le firme richieste; questo è il caso che a noi oggi interessa, una volta raggiunto – come è stato – il limite delle 500 mila firme, pur rimanendo ancora qualche settimana, fino al 30 settembre, l’ultimo giorno per il deposito della richiesta per l’abrogazione totale della legge Calderoli.
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Il lettore/sottoscrittore sarà disorientato da queste breve introduzione (che d’altra parte ci pare intellettualmente onesta), ma deve sapere che chiunque dovesse parlare con ferma certezza dell’esito dell’ammissibilità o meno del referendum di cui si stanno raccogliendo le firme non è un buon consigliere. Non lo è, allora, il Ministro Calderoli, che a ogni piè sospinto dichiara con certezza quasi invidiabile che il referendum è inammissibile.
Durante l’iter di formazione della legge cosiddetta Calderoli si sono spese parole sulla eventuale inammissibilità del referendum per richiamare il Legislatore ad attuare la Costituzione in modo a essa conforme; assumiamo, per come ha poi proceduto, che il Legislatore non lo ha fatto e ha scritto una legge che senza difficoltà si definisce “capestro”.
E allora, seppur le problematiche restano, a noi (come studiosi della giustizia costituzionale) non rimane che offrire argomenti più rispettosi del favor suffragii affinché il Legislatore referendario (cioè il corpo elettorale) si possa esprimere con la sua forza politica.
Vediamoli gli ostacoli che dovrà affrontare la Corte costituzionale e cerchiamo di capire se sono per davvero così insormontabili come appaiono al Ministro Calderoli.
In primo luogo – ma questa è una tesi assai risibile – si afferma che la legge 86 del 2024 (la cosiddetta legge Calderoli) è contenuta nella legge finanziaria e per questo, secondo quanto implicitamente sancito nell’art. 75 della Costituzione, contro di essa non è ammesso il referendum, in quanto materia riconducibile a quella di bilancio, richiamata, questa sì, dall’articolo costituzionale come disciplina verso la quale non si può richiedere alcun referendum.
È vero che la legge Calderoli è stata inclusa tra i “disegni di legge collegati” alla manovra finanziaria e che in alcune sentenze la Corte ha esteso l’inammissibilità del referendum a quelle disposizioni connesse alla legge di bilancio. Tuttavia, la Corte ha sempre sottolineato che tale connessione deve essere valutata al di là della qualificazione formale, la quale «di per sé non è sufficiente a determinare effetti preclusivi riguardo alla possibilità di sottoporle a referendum» (sentenze nn. 35/1985, 2/1994, 12/2014, 6/2015). Questa giurisprudenza è stata adottata perché, in caso contrario, sarebbe sufficiente includere qualsiasi disegno di legge tra i “collegati” alla finanziaria (alla legge di stabilità) per bloccare il legittimo esercizio del diritto costituzionale all’espressione del voto tramite referendum, giungendo ad ampliare surrettiziamente la portata del divieto sancito dall’articolo 75, comma 2, della Costituzione.
Ricordata questa giurisprudenza, dovrebbe risultare di tutta evidenza che è ammissibile la richiesta di referendum contro la legge numero 86 del 2024 che è una normativa di natura meramente procedurale (determina le regole per la richiesta di maggiore autonomia) tanto che vi è una dichiarazione esplicita di invarianza finanziaria contenuta nell’articolo 9 della stessa legge. Detto in altro modo, la legge Calderoli – non essendo in grado né di produrre effetti sulla legge di bilancio né essendo essenziale per il raggiungimento degli equilibri finanziari e di bilancio – è sottoponibile a referendum.
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Un po’ più serio il secondo argomento contro l’ammissibilità. Non tanto per le argomentazioni addotte, ma, ancora una volta, a causa di una giurisprudenza costituzionale che si fatica a comprendere per le sue linee evolutive.
Si dice: non si può richiedere referendum abrogativo avverso la l. n. 86 del 2024, in quanto essa costituisce l’unica attuazione della Costituzione, e ciò perché la Corte (in alcune sentenze sì, in altre meno) ha prodotto una immedesimazione totale tra le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato e quelle a contenuto necessario, ed entrambe non possono essere oggetto di richiesta referendaria.
Ma non dovrebbe essere così, almeno a leggere una pronuncia importantissima (la n. 16/1978) con la quale si è affermato che per legge a contenuto costituzionalmente necessario deve intendersi quella legge che realizza una delle astratte attuazioni costituzionali e quindi può essere abrogata; differentemente, per legge costituzionalmente obbligatoria deve intendersi quella legge ordinaria il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa.
Ma, anche assunta la totale immedesimazione tra le due categorie di leggi, con la conseguenza che entrambe non sono sottoponibili a referendum, chiediamoci se gli ostacoli sono così insormontabili.
Come il lettore può facilmente osservare, non si è dinanzi a una legge a contenuto costituzionalmente obbligatorio e neanche necessario perché il suo venir meno non determinerebbe «la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione» (sent. n. 50/2022). A dimostrarlo è il fatto che le intese tra Stato e Regioni possono essere approvate dal Parlamento sulla base dell’attuale disposizione costituzionale, anche senza una legge attuativa (Governo Gentiloni in prorogatio docet). Si badi bene, è l’intera legge a non essere necessaria: con o senza la l. n. 86/2024 si deve in ogni caso assicurare, per preciso obbligo costituzionale, copertura finanziaria ai Lep (e la legge Calderoli non appresta nessuna tutela necessaria per assicurare il rispetto ai livelli essenziali dei diritti fondamentali, tanto più stante la clausola dell’invarianza finanziaria).
Come dicevamo all’inizio, il rischio di essere smentiti dalla sentenza che verrà depositata il 20 febbraio 2025 è altissimo, perché è la giurisprudenza della Corte a non essere chiara e, per questo, a non essere minimamente prevedibile.
E allora, che fare? Continuare con la raccolta delle firme per un referendum il cui quesito è omogeneo nel contenuto – tanto da ricordare la prima stagione del referendum abrogativo (quella degli anni ’70 sul divorzio e sull’aborto) e quelle manifestazioni di piazza in cui ci si poteva riconoscere –, e non pecca di chiarezza in quanto l’elettore sarà posto nella condizione di capire all’istante l’alternativa presentata: abrogare o meno l’intera legge Calderoli.
Tiriamo le fila del discorso e consideriamo cosa c’è veramente in ballo. Abbiamo capito, seppur con qualche tecnicismo di troppo, che anche se venisse abrogata la legge Calderoli – tanto inutile quanto pericolosa – non si bloccherebbero le richieste di regionalismo differenziato che potrebbero continuare con la stipula delle intese col Governo (si ricordi ancora il Governo Gentiloni) con il conseguente rischio di “rottura” del Paese.
Il fine, allora, non può essere solo quello di abrogare la legge Calderoli, ma deve essere anche quello di mettere in moto quel virtuoso moto propulsivo che richiami alla responsabilizzazione il legislatore costituzionale (a cui si dovrà chiedere, poi, l’abrogazione totale dell’articolo 116, c. 3, della Costituzione) e quello ordinario (per l’edificazione di una Repubblica unitaria e indivisibile nel godimento dei diritti civili, sociali e politici, ma che pur riconosca e promuova le autonomie locali, ma senza giungere a degli strappi dai quali sarebbe poi difficile tornare indietro).
Proprio per questo, la raccolta delle firme e la partecipazione al voto che assicuri il raggiungimento del quorum deve essere massiccia, con la consapevolezza che il voto referendario è un voto politico, come diversamente non potrebbe.
Chi ci ospita permetterà – a questo punto – che si renda visibile il link per firmare con lo Spid la richiesta referendaria (il lettore che voglia essere sottoscrittore può cliccare QUI).
*costituzionalista, Desf-Unical