Giorni fa, con la solita attenzione e il consueto piacere di ascoltare una voce autorevole come il Direttore Pasquale Motta, ho guardato il WhatsApp del 24 luglio 2020. Il Direttore faceva una disamina, puntuale e interessante, come sempre, su fatti di cronaca calabresi e chiamava in causa giustizialisti e garantisti ad una riflessione.
Direttore accetto la sfida!

 

Appartengo alla categoria dei garantisti, come Ella sa, visto che è così gentile e disponibile da ospitare le mie riflessione nella rubrica Opinioni. Di questo le sono grata e colgo l'occasione per ringraziare, anche pubblicamente, lei e l'editore per l'ospitalità che mi concedete.
I miei principi ed i miei valori si riferiscono a quelli professati dal Partito Radicale. Per intenderci, quei principi garantisti patrimonio del più autentico pensiero radicale e di quell’indimenticabile (forse oggi dimenticato dai più) Marco Pannella. Partito, guarda caso, a me anche fisicamente vicino dato che mi capita di abitare a Roma nello stesso edificio della sua sede.

 

Si potrebbe obiettare che per una che fa l'avvocato di professione non potrebbe essere altrimenti.  Ed invece non è così, il garantismo di convenienza non mi appartiene, io sono garantista nell'animo, nel cuore e soprattutto nella mente e nella ragione.
Detesto i garantisti per convenienza di lavoro, o per amicizia, o per parte politica, che poi sono i peggiori giustizialisti dei nemici.

 

Vorrei leggessimo tutti insieme la voce - garantismo - dell'Enciclopedia Treccani:
“Dottrina politica e correlativo movimento d’opinione che si sono sviluppati nel corso dell’Ottocento liberale in favore del necessario rispetto dei diritti individuali e delle garanzie costituzionali poste a loro tutela contro le interferenze e gli eccessi dei pubblici poteri. Il termine ha anche assunto il significato più ristretto di richiamo a una maggiore osservanza delle garanzie giuridiche nello svolgimento delle indagini e dei processi penali, al fine di tutelare adeguatamente il diritto di difesa e di libertà dell'imputato in ogni stato e grado del procedimento”.
Ecco Direttore, io sono questa.

 

Non sono a favore di chi delinque, non sono omertosa, non tifo per i furbi, non mi piacciono i furfanti, i violenti, gli assassini, i corrotti, i corruttori, chi abusa del proprio potere, i ladri, chi sperpera il denaro pubblico.
Non sono in buona sostanza per “tana liberi tutti” o per chi crede di farla franca.

 

Sono seduta dalla parte di chi crede profondamente nell’alta funzione del diritto e del giusto processo, come recita la Costituzione, nel diritto alla libera difesa nei tre gradi del giudizio, nella presunzione d’innocenza, nella sua rapidità, nel principio della certezza delle prove, nella irretroattività della norma penale, nel "favor rei".

 

Credo che, se due individui parlano al telefono di un ignaro terzo questo terzo non debba essere considerato un delinquente a prescindere, credo che non si debba fare uso di ricerca delle prove senza seguire i canoni che la legge prevede, credo fortemente nel risarcimento morale e materiale delle parti civile, credo che un giusto processo sia una totale e piena garanzia anche per le giuste pretese delle parti offese e dello Stato.
Credo nella funzione riabilitativa della pena e nell'equilibrio tra gravità del reato e durezza della pena, punto cardine per una società che vuol credere nella giustizia Credo nel vero reinserimento nella società, credo nel lavoro da svolgere nelle carceri, nell’espiazione delle pene come redenzione, come mea culpa.

 

Rifuggo dalla spettacolarizzazione dei processi, dai processi mediatici e da quelli che non si svolgono nella loro sacralità nelle aule dei tribunali, in quelle aule dove per decenni grandi protagonisti del diritto e della giurisprudenza hanno reso onore alla giustizia.
Trovo ingiusto che i processi vengano fatti nelle piazze, sui giornali, in tv e non dove andrebbero fatti: nelle aule di giustizia. Aule di giustizia che dovrebbero ritornare al centro del processo. Dove insigni magistrati e bravissimi avvocati hanno duellato per millenni con arringhe sublimi e dove abbiamo ascoltato giudici emettere sentenze da restare senza fiato per tanta maestria nel condannare o assolvere spiegandone in punto di diritto le ragioni.

 

Ecco Caro Direttore cosa per me significa essere garantista.
È strano esternare il mio garantismo mettendolo nero su bianco perché è un sentimento intimo da proteggere e mettere in atto nella quotidianità dei giudizi.
L'ho sempre messo in pratica, nelle aule di giustizia, nelle memorie difensive, nei miei scritti, tra le righe, mai dedicando un intero scritto ma è una sfida, la sua, che ho accettato volentieri.

 

Dal 1948 ad oggi, in barba alla Costituzione, secondo il mio sentire, questi principi si sono prima lentamente e poi precipitosamente sgretolati sotto la mannaia di un giustizialismo senza quartiere e senza freni.
Forse non siamo di fatto mai stati il paese di Cesare Beccaria.