In un articolo del “Giornale” si spara a zero su Greta Thunberg e Carola Rackete, definite “prezzemoline delle proteste anti-sistema”. Ecco dove sbaglia l'autore
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Andrea Indini sul “Giornale” afferma che la “sinistra nostrana” è “da sempre a caccia di simulacri da venerare” e li ha trovati in Greta Thunberg e Carola Rackete, definite “prezzemoline delle proteste anti-sistema”, anzi “totem massimi della falange progressista in marcia contro le destre”, anzi “eroine della sinistra”.
Greta Thunberg è la leader del movimento giovanile Fridays for Future, cioè della più importante novità politica del nuovo millennio, la leader del movimento “generazionale” che ha portato in piazza migliaia di ragazze e ragazzi di tutto il mondo “per il futuro”, a partire, certo, dalla questione ambientale, ma anche tematizzando lo stretto rapporto tra ambientalismo e giustizia sociale, come solo il movimento No Global aveva fatto prima.
Ma per Indini è semplicemente “una vestale dell'ideologia green”.
Carola Rackete è invece la comandante della nave tedesca “Sea Watch 3”, che quattro anni fa, il 29 giugno 2019, mise in salvo a Lampedusa, con metodi sbrigativi, una cinquantina di poveri disgraziati in pericolo di vita nonostante le norme contrarie del governo italiano.
Ma per Indini è una “sacerdotessa dell'accoglienza più sfrenata” (sic) ed “una pirata che tra qualche mese rischiamo pure di ritrovarci al Parlamento europeo”.
La lettura dell’articolo di Andrea Indini, in ogni caso, non chiarisce molti misteri. Dove e quando “santini” di Greta Thunberg e Carola Rackete sarebbero “sventolati in piazza e nei parlamenti”? Dove e quando le loro battaglie si sarebbero “trasformate in manifesti durante le campagne elettorali”. Ma soprattutto dove sono queste “piazze” in cui sarebbero avvenuti simili prodigi? Magari ci fosse una sinistra così sensibile da mobilitarsi su questi temi!
Resta quindi da capire in che modo Thunberg e Rackete sarebbero “entrambe intoccabili davanti alla legge”, visto che, per ammissione dello stesso Indini, una di loro, Greta Thunberg, è stata condannata dalla giustizia svedese per non aver rispettato un ordine della polizia.
Le “continue prove di forza per scardinare il Sistema” sono invece una tale idiozia che non mette nemmeno conto parlarne.
Dunque la notizia è questa: lo scorso 19 giugno Greta Thunberg ed altri attivisti di Fridays for Future (che Indini, con affabile umorismo, chiama “gretini”) hanno bloccato l’accesso delle autocisterne che trasportavano il petrolio al porto di Malmo per gli imbarchi internazionali.
Gli agenti di polizia hanno chiesto loro di sgomberare la strada, ma si sono ovviamente rifiutati e così sono stati tutti condannati ad una multa di 1.500 corone, cioè circa 130 euro.
Andrea Indini non si dà pace per la “spocchia” di Greta Thunberg, che “nemmeno davanti alla corte, prima del verdetto, si è rifiutata di ammettere l'errore: ‘Le mie azioni sono giustificabili’. Esattamente come la Rackete. Stessa spocchia”. Ma tant’è.
Ad ogni modo, è una notizia questa? Da sempre chi si impegna in un movimento di protesta civile, se sufficientemente radicale, può andare incontro a qualche disavventura con la legge, perché il meccanismo repressivo del sistema di fronte al dissenso “di sistema” appunto, si avvale quasi sempre di provvedimenti legali formalmente corretti.
Andrea Indini si rallegra di questa condanna e non può essere diversamente. Quando non ci sono argomenti resta sempre e solo la mentalità codina. Ad ognuno il suo.
Ma la vicenda, dal punto di vista del “Giornale”, non finisce qui, perché nel resto dell’articolo Indini sostiene che la condanna di Thunberg è “una bella lezione, che sicuramente rimarrà inascoltata, per quelle toghe italiane che due anni fa graziarono la Rackete dopo che questa non solo calpestò gli ordini della Capitaneria di porto, ma arrivò addirittura a speronare una motovedetta della Guardia di Finanza”.
E perché dovrebbe essere una “lezione”? I due casi non sono nemmeno lontanamente paragonabili.
Andrea Indini ammette che “ogni caso giuridico è a se stante, figuriamoci poi se a trattarlo sono tribunali di due Stati diversi”, ma poi dice che “le vicissitudini giudiziarie delle due sono così simili che è impossibile non accostarle”.
Ed invece è proprio questo il punto.
I due casi non sono per niente accostabili, perché la condanna di Greta Thunberg è di tipo amministrativo, mentre l’accusa rivolta a Carola Rackete avrebbe implicato una sanzione di tipo penale.
Rackete, infischiandosene dell'altolà impartito del governo italiano, entrò con la forza (e non “con prepotenza”) a Lampedusa, scaricando gli immigrati, tra i quali, secondo la peggiore stampa di destra, ci sarebbero stati anche tre trafficanti libici di esseri umani, perché – ed è un vero peccato - la peggiore stampa di destra non sembra essere informata del fatto che questi brutti ceffi non seguono la sorte degli infelici di cui trafficano.
La coraggiosa “capitana” tedesca, niente affatto “tronfia del gesto di forza”, si mise quindi contro l'allora ministro degli interni Matteo Salvini, autore del famigerato “Decreto Sicurezza” che bloccava lo sbarco di “clandestini” nei porti italiani, con il risultato di essere incriminata non solo per lo speronamento ma anche per “traffico di esseri umani”, in base ad un provvedimento della Procura della Repubblica di Agrigento privo di ogni vergogna.
I due fascicoli furono archiviati, in quanto la Corte di Cassazione sostenne, in maniera ineccepibile, che Carola Rackete aveva addirittura "rispettato il dovere di soccorso" che "non si esaurisce nell'atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro".
Ma il povero Indini si lamenta che l’azione di Rackete contravvenne “ad una legge dello Stato” ed allora è forse il caso di ricordare - e non solo a lui - che esiste una fondamentale legge internazionale, dalla quale dovrebbero discendere tutte le leggi nazionali del mondo ed è la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo promulgata il 10 dicembre 1948 dalle Nazioni Unite, che non pone limiti al diritto di asilo.
Fu dunque il Decreto Sicurezza di Salvini a “contravvenire” alla legalità internazionale.
E davvero non c’è altro aggiungere.