La festa della Liberazione ci ricorda che la democrazia non si difende da sola: «Indifferenza e silenzio sono le prime minacce»
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C’è un diritto fondamentale che abbraccia tutti gli altri diritti fondamentali della persona umana: il diritto alla democrazia. Come sancito dall’art. 21 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (ONU), da altre fonti sovranazionali (CEDU e Carta di Nizza) e dagli artt. 1, comma 2, 2 e 3 della Costituzione italiana, il diritto alla Democrazia presenta più articolazioni e riveste un ruolo centrale per lo sviluppo della persona umana e degli altri diritti fondamentali come: dignità, libertà, uguaglianza e sicurezza.
In un tempo precario, come quello attuale, costellato da crisi politiche, economiche e sociali, che ha causato la fragilità della tutela dei diritti fondamentali della persona, la crisi di molti governi nazionali e degli equilibri tra le diverse organizzazioni internazionali, è fondamentale ragionare sulla tenuta del diritto alla democrazia. Un diritto in pericolo e, in taluni casi, persino calpestato come nel caso delle guerre (in atto) in Ucraina e a Gaza; la profonda crisi umanitaria in Sudan e la totale violazione dello status personae dei migranti.
Il 25 aprile, l’Anniversario della Liberazione Italiana, e non solo, dalla dittatura nazifascista riveste un ruolo fondamentale per ragionare, ricordare e soprattutto tramandare l’importanza e la fragilità del diritto alla democrazia. Il 25 aprile e il 9 maggio (data della Liberazione di Berlino) rappresentano la fine della Guerra e il riscatto, una nuova primavera, della democrazia. La democrazia come madre violentata, calpestata, oppressa, ma pronta a riabbracciare e proteggere le generazioni del dopoguerra. Ecco, il 25 aprile è memoria e riscatto.
La memoria per non tradire la mano della democrazia e il riscatto per proteggere il benessere delle generazioni future dal flagello delle guerre e da eventuali derive totalitarie come quella nazifascista.
In merito al valore della democrazia e della nostra Costituzione tornano come un monito senza tempo le parole di Piero Calamandrei in un discorso del 1955 tenuto dinanzi agli studenti di un liceo milanese. "La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. L’indifferentismo è un po’ una malattia dei giovani. «La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica?».
(...) È così bello e così comodo! È vero? È così comodo! La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io. Il mondo è così bello, vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai.
E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
La Costituzione, vedete, è l’affermazione, scritta in questi articoli – che dal punto di vista letterario non sono belli – ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo va a fondo per tutti. È la Carta della propria Libertà, la Carta per ciascuno di noi della propria dignità d’Uomo. (…) Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come vostra; metterci dentro il senso civico, la coscienza civica; rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.
Ora io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane… E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie… ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini! O quando io leggo nell’art. 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo! O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi! E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani…
Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta.
Quindi, quando vi ho detto che questa è una Carta morta, no, non è una Carta morta, questo è un testamento, è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
Le parole di Piero Calamandrei possano accedere in ognuno di noi, nel giorno del 25 aprile, il senso delle Istituzioni, la voglia di respirare la libertà e la gelosa protezione della democrazia. Soltanto così Piero Calamandrei, la Costituzione italiana, la speranza di un futuro migliore continueranno a vivere nelle idee e nei passi delle nuove generazioni.