«Oggi siamo stati in pace. Domani, tu combatterai per il tuo paese, io mi batterò per il mio. Buona fortuna!», dissi al mio nuovo “amico” tedesco.

Mi chiamo George Eade, inglese.
Ed è un vero peccato.
Che quel tedesco sia stato mio amico solo per un giorno, intendo.

Quattro mesi. Avevamo passato gli ultimi quattro mesi a spararci addosso.
Da una parte noi inglesi e francesi e dall’altra loro, i tedeschi.
Le trincee distanti a volte solo poche decine di metri. In quei pochi mesi erano morti migliaia di soldati. Una vera carneficina.

Era il 1914.
Eravamo posizionati sul fronte occidentale, nella zona intorno la cittadina di Ypres, tra il Belgio e la Francia settentrionale.
A dicembre i campi ricoperti di neve.
Eravamo stanchi, con il morale a terra.

Quando si fece strada la speranza.
Era il 7 dicembre 1914 quando Papa Benedetto XV  fece un appello per un armistizio “onde ridare al mondo almeno un assaggio di quella pacifica quiete che ignora oramai da tanti mesi”

Le risposte non tardarono ad arrivare.
Il 9 la Russia si disse contraria. Favorevoli l'Inghilterra,l'Austria-Ungheria, la Germania, la Serbia e il Montenegro. La Francia? Decisamente contraria.
Il Papa dovette riconoscere il fallimento della sua iniziativa.

Eravamo demoralizzati.
Ci avevano detto che la guerra sarebbe finita presto. “Entro Natale sarete già a casa. E vincitori”.
E noi eravamo partiti entusiasti.
Ma ora? Un cessate il fuoco ci avrebbe consentito almeno di seppellire i morti.

Poi arrivò quel giorno. E accadde l’incredibile.
Tutto ebbe inizio la notte di Natale.
Vedemmo soldati tedeschi posizionare delle candele sul bordo delle loro trincee e decorare alberi.
Decoravano alberi, capite?
Mentre noi li guardavamo increduli.

E poi qualcuno dei tedeschi cominciò ad intonare pure canti di Natale.
Eravamo inglesi, ma la melodia era inconfondibile.
Rispondemmo con gli stessi canti.

Con la nebbia lo vedemmo appena il primo soldato tedesco. Era disarmato.
“Ho visto la cosa più straordinaria che si possa vedere: stavamo per sparare a quel tedesco…e poco dopo eravamo tutti in festa” scrisse il soldato inglese Dougan Charter.
Vero. Piano piano uscimmo tutti.

Chi si salutava con strette di mano, chi si abbracciava. E poi uno scambio di doni.
Sigari, whisky, cioccolata, tè, caffè, bottoni delle divise, berretti, capi di vestiario e ricordi dei tempi di pace.
Tutti contenti di condividere qualcosa.

Tommy, un soldato inglese, si mise a tagliar capelli ai nemici in cambio di qualche sigaretta. Qualcuno organizzò anche una partita di calcio. Gli altri accesero un fuoco. E si parlava, si scherzava
“Non vi fu un solo momento di odio: per un po’ nessuno pensò più alla guerra".

Poi la "tregua di Natale" finì.
“Ci salutammo e rientrammo nelle trincee… poi udimmo dei colpi… la guerra era ricominciata”.

E quel secco comunicato del nostro comando “Mai più tregue, partite di calcio incluse. In guerra non bisogna mai interrompere l’uccisione del nemico”.

All’inizio non trapelò nessuna informazione  sulla stampa internazionale.
Iniziò il New York Times il 31 dicembre 1914 pubblicando le prime notizie su quella tregua.
Poi a seguire il “The Daily Mirror”.

“Forse un giorno in quest'angolo sarà innalzato un monumento per commemorare lo spirito di fraternità tra degli uomini vessati dall'orrore della guerra e costretti a uccidersi a vicenda, contro la loro volontà”, scrisse Louis Barthas, francese.
Morirà in combattimento nel 1917.

Un soldato tedesco di origini austriache che si trovava proprio a Ypres, a proposito dei i suoi compagni che avevano stretto la mano al nemico, criticò con violenza quella “stupida tregua”.
Dov’è andato a finire l’onore dei tedeschi?
Il suo nome? Adolf Hitler.

La Prima Guerra Mondiale si concluse con milioni di morti. Cosa imparò l’Europa da quell’orrore? 
Nulla. Ben presto una Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata, per certi aspetti, ancora più terribile della prima.


(Da un racconto di Twitter by @JohannesBuckler
E da una lettura-spettacolo dell’antropologo Paolo Apolito)

La tregua di Natale ispirò anche Paul McCartney in “Pipe Of Peace” del 1983