*Alessandro Zanfino

 

Se l’Italia rallenta, il Mezzogiorno frena, anzi si inchioda.

Si sta consolidando sempre più il “doppio divario”: dell’Italia rispetto all’Unione Europea e del Sud rispetto al Centro-Nord.

Il Mezzogiorno, abbandonato a se stesso, si svuota, si impoverisce, arretra sempre più nei confronti delle regioni del Nord e dell'Europa. Le anticipazioni del rapporto Svimez dello scorso agosto, passate quasi in sordina (perché il Mezzogiorno che non funziona, ormai non fa più notizia, anzi annoia!) hanno messo a nudo, in una cruda fotografia, lo stato del Meridione. Il primo sintomo della malattia del Mezzogiorno è lo svuotamento, l'emigrazione, che è diventata fenomeno di massa come nel dopoguerra. Negli ultimi quindici anni hanno fatto le valigie e sono andati via oltre due milioni di persone. Nel solo, 2017 hanno lasciato il Sud, 132 mila meridionali. Più del 60% di questi sono giovani ed il 33% di questi sono laureati.

Tali numeri dimostrano che l’emergenza emigrazione del Sud determina una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di immigrati modesti nel numero e caratterizzati spesso da basse competenze.

Insomma le persone che arrivano non sono in grado di sostituire adeguatamente i nostri giovani.

Il saldo migratorio al netto dei rientri è stato, negli ultimi quindici anni, negativo per 852 mila persone. Per intenderci, è come se fosse scomparsa dalle cartine una metropoli come Napoli. «La ripresa dei flussi migratori», scrive la Svimez, «rappresenta la vera emergenza meridionale».

 

Ma perché? Perché accade ciò nonostante l’enorme mole di finanziamenti comunitari? Perché i programmi finanziati dai fondi SIE: FSE-FEASR-FESR-FEAMP che cubano diversi miliardi di euro – si, leggiamo bene: miliardi, non milioni di euro! - non sono in grado di invertire questo inesorabile dissanguamento?

 

Il tempo. La vera causa è il tempo. Il tempo nel predisporre i bandi pubblici, il troppo tempo per la raccolta delle istanze di partecipazione, il tempo per le istruttorie, il tempo per le pubblicazioni delle graduatorie, il tempo per l’esame dei ricorsi, il tempo per le erogazioni finanziarie ai beneficiari, il tempo per il collaudo delle opere, il tempo per i controlli, il tempo per il saldo finanziario, il tempo per la certificazione della spesa alla Commissione Europea.

 

Perché un giovane imprenditore dovrebbe aspettare tutto questo tempo per realizzare il suo progetto, per avere 100.000 euro maledetti? Il giovane, se ha la fortuna di avere la copertura dei capitali grazie ai genitori, magari va direttamente in banca in autonomia, senza ricorrere alla ghigliottina della finanza pubblica, altrimenti si vede costretto ad aspettare… ed aspettare…

 

Anni di agonia e nell’attesa dell’agognato finanziamento pubblico, intanto il giovane che fa? Cosa mangia? Come impiega le sue giornate?

Semplice! Le impiega su internet a cercare offerte di lavoro a Milano, Bologna, Torino, Firenze, Roma e inizia a chiamare quei lontani amici di infanzia, che ormai da anni vivono al nord in una di quelle colonie meridionali dove si conoscono tutti, in cerca di una spalla su cui poggiarsi.

 

Il problema è tutto politico. Completamente politico.

La politica - sia di destra che di sinistra che movimentista, non esistono fazioni o colori, sia chiaro, in quanto la storia si è ripetuta programmazione dopo programmazione – deve capire che non serve sbandierare un bando per 20 giorni nelle cinque province calabresi, per far annusare soldi fumanti a tutti. Che non serve tenerlo in pre-pubblicazione per 30 giorni (la concertazione dovrebbe tenersi in altri momenti della programmazione!). Che non serve prorogare ogni mese il termine della racconta delle istanze per fare bella figura (giusto per dire che il bando ha “tirato” e sono arrivate migliaia di domande dopo 10 mesi). Che non serve fare istruttorie “lacrime e sangue”, che durano un altro anno (quando si può completamente automatizzare il processo di valutazione con criteri chiari, punteggi predeterminati e metodi autovalutativi/responsabilizzanti, target di beneficiari già individuati). La politica deve capire che servono controlli efficienti effettuati da personale qualificato… e magari laureato (!!!). Che serve automatismo nell’erogazione finanziaria del dovuto, senza bisogno di sollecitazioni, di viaggi della speranza in Cittadella, di telefonate di amici, di piantonamenti ed appostamenti davanti agli uffici regionali.

 

Ma la domanda vera è un’altra: la politica tutto questo lo vuole?

La velocità, il dinamismo, l’autovalutazione, l’automaticità dei processi, l’assenza di discrezionalità, l’assenza di telefonate, le sale d’aspetto vuote.

Certo che lo vuole! Lo vuole nei convegni, nei comunicati stampa istituzionali, nelle riunioni, negli incontri ufficiali, nei dibattiti. Poi però, quando si tratta di fare un bando di 50 milioni di euro, si inizia a riflettere.

Si riflette, si riflette, e poi si riflette ancora. E dopo le dovute riflessioni, poi si, allora si inizia anche a ragionare.

 

Intanto il tempo passa, i giovani preparano le valigie, gli zaini, le conserve sotto vuoto ed i “boccacci”; emigrano, mentre altri migranti arrivano e li sostituiscono per quello che possono.

Ma attenzione! Dopo due anni dalla pubblicazione del famoso bando, arriva nella buca della posta della residenza meridionale del nostro giovane il decreto di concessione del finanziamento, e allora il genitore che riceve la posta telefona subito al figlio, nella speranza recondita che magari ritorni, ma lui intanto è partito, ha trovato un modesto lavoro al nord, si è sistemato, si è fidanzato con una bella ragazza del posto, con la quale magari aspetta anche un figlio… un figlio che, alla fine di tutta questa storia, sarà un nuovo cittadino del nord, di origini meridionali.

Chiunque sarà il nuovo Presidente, giallo, verde, rosso o blu, inizi a pensarci da adesso... senza riflettere troppo!

 

*Esperto fondi comunitari