La Sila catanzarese custodisce mille storie da scoprire, ma alcune sono più sconosciute di altre e si caratterizzano per tratti quasi fiabeschi: una torre, un’affascinante e colta Marchesa, un bosco ancestrale. Ci troviamo a Buturo, nella Sila catanzarese, tra i comuni di Albi, Taverna e Zagarise, in uno di quei pochi angoli della Silva Brutia. Qui, immersa nel bosco di Callistro (dal greco kallìstos=bellissimo), si staglia imponente e muta, nel silenzio, una torre in pietra e cemento, dal quale emergono, quasi a volerla proteggere come delle lance oplitiche, spessi tondini in ferro pieno.

 

Il luogo è ameno: un piccolo spiazzo tra gli alberi fa emergere ai lati della torre, crollata in alcuni punti e con segni neri di un vecchio incendio, le tracce di una platea, una scalinata, dei magazzini seminterrati e dei forni. Poco più in là, dominante sulla strada provinciale, i resti di una chiesetta. Arrivati a questo punto ci si chiede chi abbia potuto realizzare questo piccolo capolavoro nel bel mezzo della Sila: un nome, Maria Elia De Seta Pignatelli, che chiameremo d’ora in avanti la “Marchesa”, madre del grande documentarista e regista Vittorio De Seta.

 

Donna colta e di raro fascino, Maria Elia sposò giovanissima Giuseppe De Seta, figlio di Francesco De Seta che fu sindaco di Catanzaro e prefetto di Palermo, vivendo i tragici anni post-bellici del primo conflitto mondiale sospesa tra la preoccupazione per le condizioni di salute del figlio Francesco e i disordini del “Biennio Rosso”. Proprio i problemi respiratori del figlio, unite al timore dei tumulti in corso, spinsero la Marchesa, nel 1919, a intraprendere un viaggio di sola andata verso la Calabria, dove la famiglia del marito aveva una villa a Sellia Marina (attuale C.da Feudo) e delle terre in Sila. Proprio qui, a Buturo, dove già si costruiva il primo nucleo del Villaggio omonimo, decise coraggiosamente di stabilirsi insieme ai suoi figli, inizialmente in una piccola baracca cadente.


Con perseveranza iniziò a raccogliere manodopera e materiali per la costruzione dell’imponente torre e della villa, quasi a voler dimostrare che quelle montagne non erano inospitali e che potevano accogliere anche uno spirito forte come il suo, anzi forse solo lei era in grado di domarle. Il risultato fu eccezionale, divenendo un angolo di paradiso dove la Marchesa iniziò a costruire e intessere la sua tela culturale, facendo diventare Buturo un salotto sui generis, immerso tra alberi monumentali, profumo di viole e asfodeli e caldi fuochi di camino: da qui passarono Paolo Orsi, Umberto Zanotti Bianco, Massimo Bontempelli, probabilmente Gabriele D’Annunzio, che le diede l’appellativo di “Silana Domina”, e ancora Corrado Alvaro, Marinetti e Guttuso.

 

Intrecciò un profondo rapporto d’amore con il ministro dei Lavori Pubblici Michele Bianchi, il quale arrivò a far costruire la strada Cropani-Sersale- Buturo per poter favorire il sogno della Marchesa; proprio questi salotti aumentarono la già spiccata sensibilità di Maria Elia per i beni culturali e la storia calabrese, tanto da essere nominata, da Edoardo Gallo, primo ispettore onorario per le antichità della Calabria.

 

Proprio questo elemento rende ancora più intrigante la vicenda riguardo i luoghi di cui stiamo parlando; la torre, fatta costruire ex novo dalla Marchesa, riprende dei motivi architettonici e dei modelli costruttivi che richiamano le strutture difensive normanne, a pianta quadrata, possenti e di spessa muratura, delle quali torri ella aveva sicuramente avuto contezza e modo di studiarne le caratteristiche per poterne citare gli elementi.

 

Tuttavia, al netto delle citazioni stilistiche, Maria Elia forse scelse quel posto in virtù della sacralità che vi trovò: poco sotto i resti dell’attuale torre, sopra la strada, si trovano i ruderi della chiesetta pertinente alla residenza, dedicata dalla Marchesa a San Nilo. I resti della chiesetta, in alcuni punti ancora in elevato, presentano una muratura in blocchi granitici legati da malta, con impianto ad unica navata che termina con tre absidi, detta in gergo pianta tricora; ora queste caratteristiche stilistiche, presenti nelle chiese di origine bizantina, potrebbero portare alla conclusione che anche qui, la Marchesa, abbia voluto operare una fine citazione dell’antico, tuttavia ci sono elementi (come ad esempio l’assenza di cemento nella costruzione) che suggeriscono che questa struttura fosse già esistente. Se così fosse ciò significa che la Marchesa abbia trovato qui i ruderi di questa antica chiesetta di origine medievale, ricostruendone l’elevato in legno e ripristinando, simbolicamente, il luogo sacro che qualche cenobio aveva qui fondato.

 

La vita avventurosa e piena della Marchesa continuò sia durante il conflitto mondiale, laddove la troviamo compagna di avventure e spionaggi insieme al suo secondo marito il Principe Valerio Pignatelli di Cerchiara, sia dopo con le sue battaglie a difesa dei diritti femminili e del patrimonio culturale tra gli anni ’50 e ’60; la sua avventura terminò nel 1968, in un incidente stradale tra Catanzaro e Nicastro, mentre si stava recando al castello omonimo, in virtù della sua carica di ispettore onorario alla antichità calabresi. A dispetto dell’importanza di questa donna, tuttavia, la sua sepoltura non le rende giustizia: la cappella, dove si trovano anche il figli Francesco (aviere caduto in guerra) ed Emanuele, è stata inghiottita dal tempo e dall’odio riservatole per via della sua appartenenza politica. Il tempo darà forse giusta importanza a queste vicende che videro la Sila protagonista di una rivoluzione culturale, intanto, nel nostro piccolo, possiamo ripercorre i passi della Marchesa attraverso il bosco Callistro, lungo le sorgenti del Crocchio, rinfrescandoci un attimo nel “Vullo” per poi risalire verso la Torre, immaginando di essere lì, discutendo insieme ai giganti della cultura che qui si fermarono, tra pini neri, il profumo di viole e asfodeli e il caldo fuoco di un camino.