Una doppia fila ordinata di casette a due piani, che lungo il corso principale scivolano fino all’incrocio con il bar, la farmacia e la chiesa. Si dipanano, da qui, le strade che conducono all’anima di questo luogo, in provincia di Vibo Valentia, e da qui siamo partiti alla ricerca delle tre parole con cui custodirla per portarla con noi nel viaggio di ritorno.

Quella di Mongiana è una storia operaia. Una storia che inizia in tempi relativamente recenti. È a cavallo del 1770 che comincia a sorgere il centro abitato per dare residenza ai lavoratori delle Reali Ferriere Borboniche e della Fabbrica d’armi. Operai, artigiani, funzionari che diventano i volti e i nomi della nuova città.

Un tipico villaggio industriale, uno dei primi esempi in Italia. Un villaggio siderurgico. E questo ci porta dritti alla prima parola di questo luogo. È ferro.

Nata e cresciuta intorno alla fabbrica, Mongiana è fatta dello stesso materiale che qui veniva lavorato per dare vita a manufatti e armi per il Regno delle Due Sicilie. Il suo nome è quello di un fucile da fanteria, il modello “Mongiana” appunto, e il suo sigillo è sulle rotaie della prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici. Una piccola città al centro della grande produzione di quegli anni.

I ruderi dell’antica fonderia emergono dal terreno al di sotto dell’abitato, gigante di mattoni e granito distrutto e risorto più volte. Risale a pochi anni fa lo scavo che ha riportato alla luce l’area di 2mila metri quadri, in cui spiccano i resti di uno dei tre altiforni originari. Un tempo rumoroso fulcro della creazione, oggi testimone silenzioso di un’epoca, immobile osservatore della vita che tra le case e tra gli alberi fluisce lenta ma inesorabile come l’acqua dell’Allaro a fondo valle.

La seconda parola che abbiamo scelto è museo. E non solo per la presenza del Mufar, il Museo delle ferriere e della fabbrica d’armi, ma perché Mongiana è tutta un museo. Un museo a cielo aperto. Via Vittorio Emanuele III è l’arteria principale da cui tutto è partito. Camminare lungo questo corso è come fare una passeggiata nel tempo. E si può arrivare a immaginare quel passato, la quotidianità che scorreva al ritmo impresso dalla fabbrica.

«Architettura senza architetti», si legge su uno dei tabelloni informativi all’interno del museo. Un paese nato «in modo spontaneo, lungo i naturali assi di comunicazione».

È ferro e legno Mongiana. Con le sue casette a due piani che indossano l’uno e l’altro. I balconi e le porte. La fabbrica e la natura. L’una legata all’altra come l’edera che da queste parti si stringe agli abeti fitti e altissimi correndo lungo i tronchi per farsi strada verso la luce.

Parco è la terza parola. Immersa nel Parco delle Serre, questa piccola città ha un cuore verde. Per metà selvaggio, come i boschi incontaminati dimora di alberi secolari e monumentali. Per l’altra metà ordinato e composto. Villa Vittoria è un parco nel parco, giardino didattico e zona attrezzata per visite e picnic. È un’altra delle perle di questo posto, parte della Riserva naturale biogenetica di "Marchesale" che assieme alla “Cropani-Micone” è gestita dal Reparto carabinieri Biodiversità. Un’area protetta in cui spiccano i due laghetti Sambuco e Rota.

Mongiana è piccola ma preziosa, come le sue risorse. Cuore di un territorio che offriva tutto il carburante indispensabile a mettere in moto quel processo di produzione di cui fu indiscussa protagonista. Dalle profondità della terra, lungo la superficie, risalendo nell’aria. Limonite, acqua e legno per generare il fuoco, soffio vitale di una storia affascinante forgiata nel ventre della Calabria. Storia di regnanti e ingegneri. Storia, soprattutto, di operai. Muscoli, ossa e sudore che mescolandosi agli altri elementi sono stati principio creatore. Plasmando non solo armi e rotaie, ma un’intera città. Nata per il lavoro, dal lavoro resa grande.