VIDEO | Località protagonista delle estati calabresi e culla di leggende, come quella di Cilla, è anche un territorio ricco di storia di cui resta traccia negli antichi monumenti. I colori che accendono il suo centro storico sono un invito ai visitatori. Il nostro racconto per la rubrica Le parole dei luoghi
Tutti gli articoli di Destinazioni
È culla di leggende e scrigno di ricordi che popolano le pagine di tante estati. Il passato che torna, ogni volta, portato dall’odore della salsedine. Quel passato così lontano eppure ancora così vicino che sembra di poterlo accarezzare. E poi c’è quello lontanissimo, remoto, che fa capolino dai tanti scorci di storia disseminati qua e là. In inverno è un paese in attesa, pronto ad accendersi di vita e colori con l’arrivo della bella stagione. È tra le località protagoniste della costa tirrenica cosentina San Lucido, perciò non ha bisogno di presentazioni. Ma vederla, sentirla e toccarla fa venire voglia di raccontarla: lo faremo, come di consueto, attraverso tre parole.
Terra di mare e marinai, di abbracci spezzati e cercati in eterno. Un luogo baciato dal sole o schiaffeggiato da onde schiumose, di amori che nascono e di amori persi per sempre. Cilla è la prima delle nostre parole. È il nome della protagonista di una leggenda che qui vive, incarnata dalla statua realizzata dallo scultore Salvatore Plastina. Una fanciulla di pietra che dall’alto guarda il mare, le braccia protese verso l’orizzonte e la bocca distorta in un urlo straziante. La sua è una storia d’amore e morte: l’amore per il giovane marinaio Tuturo, la morte che arriva con un tuffo da una rupe nel tentativo disperato di ritrovare l’adorato sposo che, partito per una battuta di pesca, non aveva più fatto ritorno.
Si dice che si oda ancora, l’urlo di Cilla, nelle notti di tempesta. Che lo si riesca a sentire rimbombare da quell’angolo della strada che cinge nel suo abbraccio il borgo antico. È la Panoramica, una lunga terrazza sul mare che avvolge San Lucido come un nastro che tiene stretto un dono, una sorpresa da scartare addentrandosi tra le viuzze del centro storico. Dove ogni vicolo è un richiamo, un invito alla scoperta dei suoi colori vivaci, di muri che parlano attraverso disegni e parole, di scalinate variopinte, di antichi palazzi signorili e case ricche solo del tempo di chi vi ha vissuto.
La contemporaneità che convive con un passato a tratti antichissimo, testimoniato dai diversi edifici di culto, tra cui vale la pena nominare il più datato, la chiesa della Pietà, la cattedrale di San Giovanni Battista e i ruderi dell’eremo di Santa Maria di Monte Persano. L’architettura sacra accanto a quella civile e militare: i già citati palazzi e le rovine del castello Ruffo e del fortino Santa Croce.
Un passo indietro e poi uno di nuovo avanti, per tornare a oggi. La Piazzetta è luogo di incontro, un cuore che pulsa soprattutto con l’arrivo della bella stagione, quando il paese riceve nuova linfa da chi viene e da chi torna, da chi di passaggio annusa l’aria effervescente delle sere d’estate e da chi sceglie di fermarsi per un po’ a farne scorta.
È il volto della San Lucido più vera, quella delle connessioni e delle mescolanze, degli scambi tra culture che qui hanno lasciato più di una traccia, del piacere della convivenza testimoniato ancora oggi dal “gafiu”, pianerottoli che si collegano gli uni agli altri e che collegano tra loro case ed esistenze. «Si ergeva come torre di vedetta, una porta aperta verso Sud, a dominare il mare e rivolta verso l’altra sponda del Mediterraneo». Lo racconta così la targa che catapulta chi ha la pazienza di fermarsi a leggere dentro quella che viene descritta come «una storia bastarda». Che con quest’aggettivo apparentemente negativo celebra invece la bellezza e il valore delle ibridazioni e degli intrecci. Le storie dei tanti che qui sono sbarcati, arrivati da lontano, modellando volti e tradizioni, modi di fare e di pensare. «U gafiu è l’emblema dello stare insieme, la vicinanza di due sponde che oltre a guardarsi si mescolano e condividono».