Il consiglio dei Ministri ha approvato ieri sera il nuovo decreto anti Covid in vigore dal 7 aprile che conferma sostanzialmente l'impianto delle misure già in atto e introduce due importanti novità: l'obbligo di vaccinarsi per tutto il personale che opera nella sanità, farmacisti compresi, e lo stop alla possibilità per i presidenti di Regione di emanare ordinanze, come hanno fatto in questo anno di emergenza, per chiudere le scuole nonostante le indicazioni nazionali prevedessero la presenza in classe.

Niente zone gialle ma con qualche deroga

L'Italia resta in arancione o rosso fino alla fine di aprile, con spostamenti vietati in tutto il Paese, bar e ristoranti, cinema e teatri, palestre e piscine chiuse, niente visite a parenti e amici in zona rossa e possibili in zona arancione all'interno della regione una sola volta al giorno e in un massimo di due persone. Ma se l'andamento della pandemia e della campagna di vaccinazione lo consentiranno, saranno possibili deroghe per ripristinare le zone gialle e dare corso ad alcune aperture anche prima del 30 aprile. 

Si torna a scuola

La riapertura della scuola fino alla prima media, anticipata dal premier Mario Draghi nei giorni scorsi, si concretizza: "Il provvedimento dispone che dal 7 al 30 aprile 2021 sia assicurato inderogabilmente, sull’intero territorio nazionale, lo svolgimento in presenza dei servizi educativi per l'infanzia e della scuola dell'infanzia, nonché dell'attività didattica del primo ciclo di istruzione e del primo anno della scuola secondaria di primo grado". Tutti in aula dall'asilo alla prima media, anche in zona rossa. Da lì in su, entra in gioco la Dad: "Per i successivi gradi di istruzione è confermato lo svolgimento delle attività in presenza dal 50% al 75% della popolazione studentesca in zona arancione, mentre in zona rossa le relative attività si svolgono a distanza, garantendo comunque la possibilità di svolgere attività in presenza per gli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali".

Lo scontro nella maggioranza

Il provvedimento che esce dal consiglio dei ministri è il frutto della mediazione del presidente del Consiglio Mario Draghi tra l'ala rigorista della maggioranza, che non voleva neanche il riferimento alle possibili deroghe, e le forze politiche, Lega in testa, che spingevano per le riaperture: non ci sarà l'allentamento subito dopo Pasqua ma ci sarà la 'verifica' sui dati, che potrebbe portare a riaperture anticipate con una semplice delibera del Cdm. Una soluzione arrivata dopo oltre due ore di riunione che consente a tutti di poter affermare di aver ottenuto quel che volevano. «Il decreto mette la tutela della salute al primo posto» dice il ministro della Salute Roberto Speranza esprimendo soddisfazione per le scelte fatte.

Subito dopo Pasqua «il governo valuterà eventuali riaperture» ribadiscono dalla Lega ammettendo che avrebbero preferito «un'apertura maggiore» ma di aver ottenuto comunque il «commissariamento di Speranza e del Cts». «Non si possono rinchiudere fino a maggio 60 milioni di persone - dice lo stesso Matteo Salvini rinnovando la "lealtà" della Lega nei confronti di Draghi - per scelta politica, non medica o scientifica, del ministro Speranza». Soddisfatti anche i ministri di Forza Italia per la possibilità di «aperture mirate già prima della fine di aprile».

Sindaci: «Misure decise senza di noi»

Fa rumore la reazione dei sindaci, attraverso le parole di Antonio Decaro, primo cittadino di Bari e presidente dell'Anci. «Leggiamo dalle agenzie di stampa che il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo decreto legge in materia di misure anticovid. Scopriamo che non ci sono più zone bianche e gialle e che molte attività economiche resteranno chiuse per ancora un mese senza alcuna certezza sui tempi di erogazione dei ristori per le chiusure precedenti. E per la prima volta i sindaci e i presidenti di Provincia non sono stati consultati né informati sulle misure contenute nel testo», dice.

«Devo dire che in un momento così delicato per il Paese tutto ci aspettavamo tranne che una frattura nella collaborazione istituzionale. Non ci sembra proprio un buon inizio nel rapporto con i territori e le comunità locali. Eppure da oltre un anno noi sindaci ci siamo distinti per responsabilità e leale collaborazione istituzionale, mettendo sempre la nostra faccia anche su provvedimenti e scelte non direttamente ascrivibili alle competenze delle amministrazioni locali», aggiunge. «Vorrà dire -conclude Decaro- che chiederemo ai ministri di venire a spiegare il provvedimento per strada e nelle piazze dove fino a oggi eravamo noi a fare da bersaglio alle legittime proteste dei cittadini».