L’icona dell’ultradestra hollywoodiana ha riottenuto il diritto a possedere armi grazie a un “perdono” dell’amministrazione Trump. Condannato per violenza sull’ex compagna, oggi è persino «inviato speciale» della Casa Bianca nel mondo del cinema. La procuratrice che si era opposta? Licenziata.
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Mel Gibson può tornare a possedere armi da fuoco. No, non è il titolo di un sequel fuori tempo massimo di Arma Letale, ma il frutto di una decisione reale e grottesca dell’amministrazione Trump. L’attore – da sempre volto radicale dell’ultradestra americana e condannato nel 2011 per violenza domestica contro la sua ex compagna Oksana Grigorieva – è stato incluso in una lista di “cittadini speciali” a cui il Dipartimento della Giustizia ha concesso la restituzione dei diritti di armamento.
Una sorta di «grazia», che ha già fatto saltare qualche testa. Quella, ad esempio, di Elizabeth G. Oyer, procuratrice incaricata proprio dei «pardons», licenziata per essersi opposta alla riabilitazione di Gibson:
“Non è una questione politica – aveva detto – ma di buon senso. Riarmare un uomo condannato per violenza domestica è un rischio”.
Non secondo Trump, che ha scelto invece di promuovere Gibson a nuovo volto del suo programma di revanche culturale. L’attore è stato anche nominato «inviato speciale a Hollywood», con la missione di “monitorare” l’industria cinematografica americana e riferire direttamente alla Casa Bianca. Una carica più che simbolica: nel team ci sono anche Sylvester Stallone e Jon Voight, tutti schierati a favore del tycoon, tutti in cerca di redenzione pubblica in un’America sempre più polarizzata.
Ma facciamo un passo indietro. Mel Gibson, dal 2006 in poi, ha collezionato uscite che definire controverse è un eufemismo. Durante l’arresto per ubriachezza molesta aveva urlato ai poliziotti: “Gli ebrei sono responsabili di tutte le guerre del mondo”. Poco dopo, nel caso di custodia della figlia Lucia, emersero telefonate raccapriccianti con l’ex compagna: “Ti sei meritata di avere i denti rotti”, “Se vieni nstuprata da un branco di n*** sarà colpa tua”, solo per citare alcune perle.
Hollywood all’epoca reagì: l’agenzia William Morris lo scaricò, Winona Ryder raccontò un episodio agghiacciante in cui lui le chiese se fosse “una di quelle ebree scampate al forno”, e il suo amico gay si sentì dire: “Se ti parlo prendo l’Aids?”. Ma evidentemente il tempo cura tutto. O quantomeno, una presidenza a stelle e strisce ci prova.
Il colmo? Il ruolo di Gibson nel cinema trumpiano va ben oltre la propaganda. L’amministrazione ha chiesto ufficialmente alla Corte Suprema di rivedere le norme che vietano l’accesso alle armi a chi ha
commesso violenza domestica. Un segnale chiaro: l’intenzione è smantellare qualsiasi freno alla diffusione delle armi, anche quando in ballo ci sono persone con precedenti per aggressioni.
Mel Gibson, intanto, gode. E non solo di nuova popolarità, ma anche di un curriculum che – tra tirate contro Darwin, negazionismo storico ereditato dal padre Hutton, crociate contro il Concilio Vaticano II e attacchi frontali a Biden (“marxista mascherato”) – sembra perfettamente allineato con la linea trumpiana più estrema.
Sarà pure “il tempo dei perdoni”, ma se sei Mel Gibson e puoi tornare armato dopo aver fratturato i denti alla tua ex, insultato razze e religioni, e seminato odio per trent’anni... allora qualcosa, in questa Hollywood distorta, funziona decisamente al contrario.
E se Stallone vede in Trump il nuovo George Washington, Mel Gibson potrebbe benissimo candidarsi a nuovo testimonial del secondo emendamento. Con pistola, crocefisso e, ovviamente, un microfono sempre
acceso.