«Il primo passo per risolvere qualsiasi problema è riconoscere che ce n’è uno: l’America non è più il più grande Paese del mondo». Così parlava Will McAvoy (Jeff Daniels) a una sconvolta platea televisiva nella prima puntata della serie The Newsroom. A 100 giorni dall’insediamento di Donald Trump, le parole dell’anchorman creato nel 2012 da Aaron Sorkin, tornano attuali».

Fuoco e furia: dentro la Casa Bianca di Trump

Ventiquattromila minori privi di protezione legale. Dimezzato il personale del Dipartimento dell’Istruzione. Settantotto ordini esecutivi in appena cento giorni. I numeri della nuova presidenza Trump raccontano uno stravolgimento che sta ridisegnando il tessuto stesso della democrazia americana.

Cento giorni possono cambiare il volto di un Paese? Donald Trump dimostra che è possibile attraverso un centinaio di ordini esecutivi che vanno oltre la normale attività di un Presidente, ridisegnando l’architettura politica, sociale e culturale degli Stati Uniti.

Prima del suo insediamento, aveva promesso ai suoi elettori di intervenire su molti fronti fin dal cosiddetto day one. Un’inondazione di norme e misure controverse che, con ogni probabilità, verranno contestate nei tribunali o richiederanno interventi da parte del Congresso. Secondo Steve Bannon, regista della prima vittoria elettorale di Trump, si tratta di un’astuta tattica politica volta a spiazzare e destabilizzare gli avversari. «Gli organi d’informazione non riusciranno ad esaminare e giudicare».

Ordini esecutivi di tutti i tipi: dai simbolismi formali (niente più bandiere a mezz’asta per la morte di Jimmy Carter e il Golfo del Messico rinominato Golfo d’America), a dichiarazioni di principio (ministeri sollecitati a fare politiche per abbassare il costo della vita o lo stop a una fantomatica censura), alla Giustizia (perdono agli assalitori del Congresso del 6 gennaio 2021 che non hanno commesso atti violenti), ad ambiente (Usa fuori dagli Accordi di Parigi sul clima), energia, immigrazione, sessualità, razza. Stop alle assunzioni nel pubblico impiego e obbligo per tutti i dipendenti federali a tornare subito nei loro posti di lavoro.

Il governo Trump ha deciso di tagliare i fondi che garantivano le tutele legali a circa 24mila minori, a cui era stato riconosciuto in passato il diritto di rimanere negli Stati Uniti mentre le loro richieste di asilo venivano esaminate. Questa tutela riguardava tutti i minorenni che avevano attraversato il confine da soli, per ricongiungersi alle famiglie e che permetteva loro di non essere rinchiusi nei centri di detenzione o finire nel torbido traffico di esseri umani.

La cancellazione delle sovvenzioni di circa 200 milioni di dollari per aiutare gruppi di avvocati a seguirne i casi, può favorire la carcerazione e la deportazione dei bambini. Nel 2023 un bambino su due entrato da solo negli Stati Uniti aveva ottenuto assistenza legale. Riducendo l’assistenza, i minori avranno meno possibilità di ricongiungersi ai genitori. Dal 2019 ne sono entrati illegalmente oltre 600mila, provenienti da Guatemala, Honduras e El Salvador.

Democrazia al limite

La decisione del governo americano si aggiunge a un altro colpo inferto da Trump ai diritti civili. Il Dipartimento di Sicurezza Interna ha smantellato a New York un’unità di cento persone che si occupava di diritti degli immigrati e raccoglieva denunce di soprusi. Secondo alcune organizzazioni umanitarie, l’obiettivo è avere mano libera nel contrasto all’immigrazione illegale e silenziare eventuali abusi.

Sull’immigrazione, lo stato d’emergenza al confine col Messico ricorda il primo mandato di Trump, ma ora c’è di più: una dichiarazione di guerra alle gang criminali in alcune metropoli americane da combattere con gli strumenti straordinari previsti da una legge del 1798: l’Alien Enemies Act.

Interventi su gender, razza, minoranze svantaggiate. Esistono solo due sessi: norme in contrasto eliminate, comprese le tutele per studenti transgender. E poi, proprio nel Martin Luther King Day, cancellate le politiche DEI (diversity, equity, inclusion) a favore degli afroamericani.

Scene di lotta di classe

Il mondo trumpiano è caratterizzato da una condotta politica populista. Molti americani lo vedono come il loro portabandiera, anche se ha tentato di rovesciare l'esito delle elezioni del 2020, è stato incriminato e messo due volte sotto impeachment. Ciò significa che il vecchio partito repubblicano è morto. Non è più il Paese di Roosevelt, né il partito di Nixon o Reagan.

Oggi si assiste a una nuova lotta di classe, non più tra operai e capitale, ma tra la classe istruita e quella meno istruita. Sempre più persone ricevono redditi da lavoro e da capitale, aumentando le differenze economiche.

Branko Milanovic, esperto di disuguaglianza mondiale e professore alla City University di New York, afferma che in questo modo termina l’epoca della globalizzazione neoliberale. Stiamo vivendo un contraccolpo a trenta o quarant’anni di cambiamenti economici, tecnologici e culturali e quello era solo l’inizio. Per capire le ragioni e i precedenti, bisogna analizzare le rivoluzioni che causarono contraccolpi simili. Dobbiamo riesaminare il passato, il XVI e XVII secolo, rintracciando la stessa storia di spinte in avanti, progressi che sfuggono di mano e diventano dirompenti, e quindi di contraccolpi».

Secondo l’esperto, presto negli Stati Uniti aumenterà la disuguaglianza. E ciò avverrà anche in un’Europa che politicamente è già in tumulto. Dobbiamo starne certi: «Trump esaspererà la situazione».