La norma che avrebbe consentito a Zaia di ricandidarsi non passa, ma non è finita. Salvini avverte: «Il Parlamento è sovrano»
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La commissione affari costituzionali del Senato boccia il terzo mandato per i governatori, la maggioranza si spacca. I parlamentari di Fratelli d'Italia e Forza Italia votano contro l'emendamento al decreto elettorale con cui la Lega ha tentato di aprire la strada alla ricandidatura di Luca Zaia in Veneto. Il risultato finale è schiacciante: i voti favorevoli alla proposta leghista sono solo quattro, i no 16.
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Al fianco dei senatori leghisti si schiera soltanto Italia Viva. A respingere l'emendamento, con FdI e Fi, sono invece le opposizioni, con Pd, M5s e Avs che si compattano sul voto contrario. La premier Giorgia Meloni ricorda che il terzo mandato «non era inserito nel programma» di governo e rassicura: «Non è una materia che crea problemi alla maggioranza». Ma la Lega non molla. Il presidente del Veneto Zaia tiene a precisare che «la strada è ancora molto lunga». E a confermare che da via Bellerio non c'è alcuna intenzione di lasciarla vinta agli alleati di governo ci pensa il segretario e vicepremier Matteo Salvini. Che avverte: «Se ne parlerà nell'Aula del Parlamento che è sovrana».
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Il presidente del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga, che aveva già invitato a riaprire la discussione dopo le elezioni europee, ci sarebbe anche un gruppo di parlamentari, tra cui il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, che si è tenuto alla larga dalle tensioni in Commissione. Tensioni che si riverberano anche nel campo delle opposizioni. Pd e M5s puntano il dito sulle divisioni interne alla maggioranza. Ma c'è chi, come Enrico Borghi di Italia Viva, si scaglia contro: «Una sciarada. Meloni schiaffeggia Salvini, Salvini tumula politicamente Zaia, Conte corre in soccorso della premier, Schlein manda a fondo De Luca, Bonaccini e Decaro...».
Nel partito guidato da Matteo Renzi, infatti, c'era l'auspicio di trainare le altre opposizioni verso un voto favorevole al provvedimento, così da scrivere una «sconfitta totale della premier». Ma i dem, dopo riunioni accese e aspri dibattiti interni, alla fine scelgono di cambiare la linea della non partecipazione al voto e virano verso il voto contrario, già annunciato da M5s e Avs. Con l'esito, però, di non aver «salvaguardato l'unità del partito», come evidenzia l'ala riformista guidata dal presidente Stefano Bonaccini, e sostenuta dai sindaci dem favorevoli al terzo mandato.