Le forze ribelli a guida islamica hanno annunciato nella notte la conquista di Damasco e la «fuga» del «tiranno» Bashar al-Assad, il presidente della Siria da un quarto di secolo al potere dopo averlo ereditato dal padre Hafez per 30 ai vertici del regime.

I residenti della capitale sono scesi in strada per festeggiare la caduta del regime dopo 50 anni di governo del partito Baath, mentre i gruppi ribelli annunciavano l'inizio di una "nuova era" in Siria.

Il Paese si appresta così a scrivere una nuova pagina del libro della sua storia millenaria, mentre da Washington la Casa Bianca ha reso noto che «il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il suo team monitorano da vicino gli eventi straordinari» in Siria e «rimangono in costante contatto con i partner regionali».

Dopo il loro ingresso a Damasco, le forze di opposizione si sono dirette nel centro della città e hanno preso il controllo dell'emittente radiotelevisiva pubblica. I ribelli hanno inoltre "liberato” il vicino carcere militare di Sednaya, noto come il “mattatoio umano”, dove «le porte sono state aperte per migliaia di detenuti che sono stati imprigionati dall'apparato di sicurezza durante tutto il governo del regime», ha riferito l'Osservatorio siriano per i diritti umani.

Intanto, il primo ministro siriano, Mohammed Ghazi Jalali, si è detto pronto a «tendere la mano» all'opposizione e a collaborare con la «leadership» che verrà scelta dal popolo, mentre il capo del gruppo ribelle Hayat Tahrir al-Sham - Abu Mohammed al-Jolani - ha ordinato alle sue forze di non avvicinarsi alle istituzioni pubbliche di Damasco, «che rimarranno sotto la supervisione dell'ex primo ministro fino a quando non saranno ufficialmente consegnate», si legge in un post su X. Allo stesso tempo, l'esercito siriano e le forze di sicurezza del Paese hanno abbandonato l'aeroporto della capitale.

In precedenza, lo stesso al-Jolani aveva detto che le sue forze controllano l'intera città di Homs, definendo la vittoria «storica». «Stiamo vivendo gli ultimi momenti della liberazione della città di Homs, è un evento storico che distinguerà la verità dalla menzogna», ha detto il leader ribelle in un video postato su Telegram.

La presa di Damasco è avvenuta dopo una clamorosa e inaspettata marcia trionfale, cominciata solo 10 giorni fa dalla remota regione nord-occidentale di Idlib al confine con la Turchia, che ha travolto roccaforti governative, russe e iraniane come Aleppo e Hama. A Doha, in Qatar, intanto si è svolta l'attesa riunione cui hanno partecipato i ministri degli esteri di Russia, Iran e Turchia.

Nelle stesse ore, ma prima che il presidente eletto americano Donald Trump affermasse che non è interesse di Washington farsi coinvolgere nel conflitto siriano, si è riunito nella capitale sul Golfo il quartetto di Paesi occidentali molto vicini a Israele: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania. E secondo fonti presenti alla riunione, a cui hanno partecipato rappresentanti dell'Ue e l'inviato speciale Onu per la Siria, Geir Pedersen, dall'incontro è emersa la volontà occidentale di avviare a Ginevra, la settimana prossima, un processo di transizione politica post-Assad che eviti nuovi spargimenti di sangue e allontani lo spettro del collasso dello Stato siriano (distinto dal regime) mettendo allo stesso tavolo tutte le parti coinvolte: gli esponenti del sistema-Assad ma non direttamente collusi col presidente e col fratello Maher (a capo della guardia dei pretoriani e considerato vicino agli iraniani) e gli esponenti dell'avanguardia dell'offensiva militare, il gruppo armato Hayat Tahrir ash Sham (Hts), guidato dal leader ed ex capo di al Qaida in Siria, Abu Muhammad al Jolani.

Nonostante Hts sia definito da anni un «gruppo terroristico» da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Unione Europea, in Svizzera potrebbero arrivare esponenti di sigle minori, ma di fatto legate a Jolani, così da non imbarazzare le cancellerie occidentali. Senza più il sostegno di Mosca, la struttura militare e politica della Siria degli Assad si è di fatto squagliata come neve al sole.

Gli ultimi sussulti di resistenza lungo l'asse Aleppo-Damasco si sono visti a Homs, crocevia del Paese e porta di accesso per la regione costiera, dove la Russia mantiene la base navale di Tartus e quella aerea di Latakia, entrambe sul Mediterraneo. È la stessa regione in cui i transfughi del regime, molti dei quali appartenenti ai clan sciiti-alawiti originari della regione costiera, si stanno arroccando in attesa di un negoziato.

Sulla sorte del raìs, intanto, si riconcorrono le indiscrezioni che lo vedono tutte già fuori dalla Siria, in fuga, nonostante il suo ufficio abbia provato a smentire le voci, affermando che si trova ancora a Damasco. Secondo fonti informate alla Bloomberg sarebbe invece a Teheran, pronto a trattare anche per un esilio sicuro. «Non è in nessuna parte della capitale», hanno rilanciato anche alcuni media Usa, mentre qualcuno non esclude possa essere anche a Mosca.