Secondo i servizi segreti ucraini la Russia starebbe preparando un finto attentato. Intanto il governo italiano decide di modificare il protocollo che risale a dodici anni fa. Ecco cosa prevede in caso di allarme radiazioni (ASCOLTA L'AUDIO)
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Dopo il Covid, l’allarme nucleare. Ma questa volta, contrariamente a quanto successo col Piano Pandemico, il Governo ha deciso di intervenire per tempo per farsi trovare pronto nel malaugurato caso – per il momento escluso - che le minacce provenienti dal fronte russo-ucraino possano tramutarsi in una sciagurata realtà.
Intanto però, le ultime notizie non sono confortanti. Il Governo ucraino ritiene infatti che il presidente russo Vladimir Putin abbia «ordinato la preparazione di un attacco terroristico» nel sito della centrale nucleare di Chernobyl. A darne notizia è il New York Times citando i ministeri della Difesa e dell'Intelligence ucraini, e spiegando di non avere conferme sul campo. Il Nyt cita un comunicato dei ministeri, secondo cui si tratterebbe di un'operazione 'false flag': le forze di occupazione russe - dice la nota - «cercheranno di causare una catastrofe alla centrale nucleare di Chernobyl controllata dalla Russia, per poi accusare l'Ucraina del disastro».
Il Decreto nucleare
ll Governo ha aggiornato dopo dodici anni il Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, che «individua e disciplina le misure necessarie a fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari di potenza ubicati oltre frontiera, ossia impianti prossimi al confine nazionale, in Europa e in paesi extraeuropei».
Tra le raccomandazioni principali, in caso di allarme per rischio radiazioni, c’è la ricerca di un riparo al chiuso, con porte e finestre serrate e sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, iodioprofilassi e controllo della filiera produttiva.
Inoltre un’azione di intervento in tre diverse fasi, da prendere in considerazione in base all'evoluzione dello “scenario incidentale considerato”, valutando le differenze tra un impianto nucleare posto entro i duecento chilometri dai confini nazionali e uno oltre quella distanza oppure per un incidente in territorio extraeuropeo.
La prima fase inizia con il verificarsi dell’evento, e si conclude quando il rilascio di sostanze radioattive è terminato. È caratterizzata dal passaggio sul territorio interessato di una nube radioattiva. Le principali vie di esposizione sono l’irradiazione esterna e l’inalazione di aria contaminata.
La seconda fase è successiva al passaggio della nube radioattiva, ed è caratterizzata dalla deposizione al suolo delle sostanze radioattive e dal loro trasferimento alle matrici ambientali e alimentari. Le principali vie di esposizione sono l’irradiazione diretta dal materiale depositato al suolo, l’inalazione da ri-sospensione e l’ingestione di alimenti contaminati.
La terza fase, “di transizione”, È la fase che mira al passaggio da una situazione di esposizione di emergenza a una situazione di esposizione esistente o programmata, e all’ottimizzazione della strategia di protezione. Inizia quando il territorio è stato caratterizzato dal punto di vista radiometrico e la sorgente è stata messa sotto controllo. Sono avviate le azioni di rimedio e di bonifica dei territori contaminati, e la gestione dei materiali contaminati prodotti durante l’emergenza.
ISS: «No ai farmaci fai da te»
«Solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l'intera popolazione», chiarisce l'Istituto superiore di sanità che, insieme a varie società scientifiche, invita a non usare farmaci “fai da te”, mentre è raccomandato l'uso di sale iodato. Dunque anche un invito alla calma, dopo il boom di richieste, segnalato in alcune farmacie, delle pillole di “iodio stabile”: una corsa all'acquisto provocata dalla paura di dover fronteggiare con il farmaco eventuali diffusioni nell'aria di iodio radioattivo.
Nel documento si forniscono anche indicazioni per la iodioprofilassi, «una efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l'assorbimento di iodio radioattivo, nei gruppi sensibili della popolazione».
In altre parole, in caso di esposizione a radiazioni, lo iodio stabile (ioduro di potassio) riesce ad evitare che la tiroide assorba in tutto, o in parte, l’isotopo 31. Ma l’assunzione preventiva è inutile, anzi dannosa per l’organismo.
Secondo il Piano, «il periodo ottimale di somministrazione di iodio stabile è meno di 24 ore prima e fino a due ore dopo l'inizio previsto dell'esposizione. Risulta ancora ragionevole somministrare lo iodio stabile fino a otto ore dopo l'inizio stimato dell'esposizione. Da evidenziare che somministrare lo iodio stabile dopo le 24 ore successive all'esposizione può causare più danni che benefici (prolungando l'emivita biologica dello iodio radioattivo che si è già accumulato nella tiroide). La misura della iodoprofilassi è quindi prevista per le classi di età 0-17 anni, 18-40 anni e per le donne in stato di gravidanza e allattamento. Il Ministro della Salute può decidere l'attivazione delle procedure per la distribuzione di iodio stabile nelle aree interessate».