Don Giuseppe Alcamo definisce «fratelli» il Presidente emerito della Repubblica e il boss di Cosa Nostra, scomparsi a distanza di pochi giorni. «Per loro inizia una nuova tappa della vita, al cospetto di Dio»
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«La vita di un uomo è sempre molto di più del suo peccato, anche se nessuno è senza peccato». Inizia così la riflessione di don Giuseppe Alcamo, sacerdote di Mazara del Vallo, all'indomani della morte, a distanza di poche ore uno dall'altro, del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Don Giuseppe li definisce entrambi «fratelli per cui pregare» e ieri li ha ricordati insieme nel corso della messa.
«Il primo - spiega il sacerdote - si è donato alla politica, ha servito lo Stato italiano in tanti, tantissimi ambiti e per lungo tempo, fino ad arrivare a essere garante della Costituzione e della Libertà, da Presidente della Repubblica. Gli siamo grati per tutto quello che di buono ha fatto per il bene comune. Il secondo si è donato al malaffare e alla violenza, è stato un pericoloso delinquente che ha procurato morte, dolore, paura, terrore, al punto da essere identificato con tutti i mali che affliggono la Sicilia e l'Italia. Non possiamo essergli grati, assolutamente no».
E ancora, ha proseguito: «Mentre i giornali ne parleranno ancora per qualche giorno e poi saranno entrambi archiviati per essere dimenticati, io credo che per loro inizia una nuova tappa della loro vita, caratterizzata dalla vera verità che nulla archivia e nulla dimentica. Nella fede, credo fermamente che entrambi si sono presentati al cospetto di Dio, per rendere ragione del loro operato e delle loro scelte, delle loro azioni e delle loro motivazioni, per chiedere misericordia e perdono. Mentre, noi siamo portati, in base al proprio punto di vista, a santificare l'uno e condannare l'altro o viceversa, davanti a Dio non ci saranno santificazioni o condanne facili e sommarie. Il Giudizio di Dio è veramente giusto. Il giudizio di Dio non è parziale e non è influenzabile. Dio non guarda dall'esterno ma dall'interno della vita e del cuore, e sa collocare fatti e misfatti dentro una visione esistenziale globale e totale».
Secondo don Alcamo, «nessuno può ergersi a giudice delle persone, ma solo delle azioni che le persone compiono. E, le azioni sono sempre determinate dalle motivazioni che possono illuminare o oscurare la mente e il cuore. La Chiesa, alla luce del Vangelo, mi ha insegnato a distinguere il peccato dal peccatore. Mentre il peccatore lo affida alla misericordia di Dio, il peccato lo detesta, lo condanna e si impegna ad educare per non relativizzarlo. Mi viene difficile dirlo, ma devo dirlo, per me Giorgio e Matteo sono entrambi fratelli per cui pregare, e facendo violenza a me stesso, oggi nella celebrazione eucaristica li ricorderò insieme, perché credo fermamente - conclude il sacerdote - che io non sono migliore di nessuno e che Dio è padre di misericordia di tutti».