La donna ha perso il bambino a fine gravidanza ma viene ancora bombardata di messaggi dalle aziende di prodotti per bebè. Colpa degli algoritmi che propongono promozioni mirate
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Ha perso il proprio bambino a fine gravidanza, ma viene ancora bombardata di messaggi pubblicitari su pannolini, giocattoli e altri prodotti per bebè. A raccontare la propria triste storia è Gillian Brockell, una produttrice video del Washington Post, che ha scritto una lettera alle compagnie tecnologiche dietro gli algoritmi che profilano gli utenti implorando loro di smetterla.
«Lo so che sapevate che ero incinta, è colpa mia - scrive la donna -, non ho resistito a quegli hashtag come #30weekpregnant (incinta di 30 settimane) e ho persino cliccato su qualche pubblicità di abbigliamento per bambini che mi proponeva Facebook. Ma non avete visto anche quelle ricerche su Google sulle contrazioni o su “il bambino non si muove”? E gli annunci con “cuore spezzato” e “nato morto”?».
Il post di Brockell in poche ore ha totalizzato decine di migliaia di interazioni, e punta il dito contro la pratica della profilazione degli utenti, utilizzata dai social per vendere pubblicità 'mirate'. «Per favore, compagnie tecnologiche, vi imploro - conclude la donna -. Se siete intelligenti abbastanza da capire che sono incinta, e anche che ho partorito, sicuramente lo siete anche per realizzare che il mio bambino è morto, e mandarmi messaggi pubblicitari conseguenti, o anche non mandarmene nessuno».