Non basta un accordo tra imperatori per cancellare conflitti e diseguaglianze. A Gaza continua il genocidio e la vecchia Europa resta in silenzio ma punta sul riarmo i miliardi che servirebbero per la giustizia sociale
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C’è un momento, nella Storia, in cui le maschere cadono. In cui le ipocrisie della diplomazia, le retoriche dell’umanitarismo e le menzogne della geopolitica si dissolvono sotto il peso della loro stessa insostenibilità.
Oggi, in questo scorcio del 2025, assistiamo a una di quelle epifanie tragiche: una pace annunciata con le stesse mani che incendiano il mondo.
L’attesissima telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin, durata oltre due ore e mezzo, ci viene presentata come una “fumata bianca” verso la pace in Ucraina. Una “roadmap”, ci dicono, per una tregua parziale sugli attacchi alle infrastrutture energetiche. Un primo passo, dicono i diplomatici. Un primo inganno, direi io. Perché non c’è tregua vera senza volontà politica di disinnescare il conflitto. E non c’è pace possibile quando a dettare le condizioni non è chi soffre, chi muore, chi resiste, ma chi si gioca le vite umane in una partita di potere che va ben oltre i confini ucraini.
Zelensky lo sa, e lo dice senza mezzi termini: Mosca non vuole la pace.
Ma davvero? Non era forse l’Occidente, fino a ieri, a rifiutare ogni trattativa con “l’aggressore russo”, alimentando la macchina della guerra con armi e miliardi? E oggi, all’improvviso, ci si scopre amanti della diplomazia? No, questa telefonata è solo un’altra mossa sulla scacchiera di un conflitto che da tempo ha smesso di riguardare solo l’Ucraina. Trump e Putin parlano, ma di cosa? Di Ucraina? O di Iran, di Israele, di Medio Oriente, di equilibri da spostare prima che la nuova amministrazione americana prenda il controllo totale dello scenario globale?
Perché mentre si discute di una tregua nei bombardamenti su Kiev, a Gaza non c’è nessuna telefonata di pace. Solo missili, solo morti. I numeri sono osceni, le immagini inaccettabili. Oltre 400 in una notte.176 bambini, uno ogni cinque minuti. Uccisi nel sonno, tra le braccia delle madri, sbriciolati sotto un tetto che non è più un tetto, ma polvere e macerie. Medici Senza Frontiere parla di corpi sparsi nel pronto soccorso, bambini senza volto, madri senza figli, ospedali che sono diventati fosse comuni. Il cielo di Gaza non è mai stato così nero.
Il genocidio continua, eppure l’Occidente rimane in silenzio. Il gioco è lo stesso di sempre: una vita israeliana vale cento, duecento, mille vite palestinesi. Hamas non rilascia gli ostaggi, dunque Israele è legittimato a radere al suolo intere città. Se domani Hamas consegnasse quei prigionieri, qualcuno a Washington o a Tel Aviv fermerebbe i raid? No. Perché il massacro di Gaza non è una conseguenza della guerra: è il fine. Il progetto. Chiunque sopravviva non dovrà più esistere. È questa la vera agenda.
E mentre tutto questo accade, l’Europa – la nostra, la vecchia Europa – che fa?
L'Italia scende in piazza. Ma senza un senso. A Roma, migliaia di persone manifestano. Ma per cosa? Per chi? C’è chi chiede il riarmo e chi grida contro la guerra. Due striscioni vicini, appesi alla stessa transenna, si contraddicono e si annullano: "Più armi per la pace" accanto a "Stop alla guerra ora".
È il ritratto di una piazza smarrita, confusa come il suo tempo, dispersa come il suo pensiero. Una piazza che non ha capito nulla, che manifesta per qualcosa che non sa definire, che urla e marcia per sentirsi viva, ma che è già stata svuotata di ogni significato. Una piazza con troppe idee, finisce per essere una piazza senza idee, senza una direzione e senza Storia.
Ma come potrebbe essere altrimenti? Per anni, l’Europa è stata l’Europa dell’austerity, che ha strangolato la Grecia e i Paesi del Mediterraneo, che ha fatto e continua a far morire migliaia di migranti nel mare senza un briciolo di compassione. Ha sacrificato il sud del continente, ha chiuso gli occhi sulla povertà e sulla disperazione. E oggi, quando si tratta di riarmare l’Europa, ecco che l’austerity sparisce come per magia. L’Europa rinuncia ai vincoli, ai sacrifici, ai “piani di austerità” in nome della guerra. Ma per il welfare? Per la giustizia sociale? Niente. Il cappio al collo resta, anzi si stringe. Le scuole, gli ospedali, la sanità, la casa: tutto brucia sotto il peso delle politiche neoliberiste, e l’Europa non fa nulla, non interviene, non si scuote.
Ci scagliamo contro le guerre lontane, ma a casa nostra, a casa nostra non ci sono soluzioni, solo una lotta per la sopravvivenza. E non una parola per chi affoga nei mari di Lampedusa, non un gesto per chi chiede asilo, non una mano per chi vive in condizioni disumane. Ma quando c’è da finanziare l’industria bellica, l’Europa si sveglia e all’improvviso diventa potente, unita, pronta a "difendere la pace". Ma quale pace?
E così, mentre si sussurra di pace tra le superpotenze, la guerra si allarga. Siria. Yemen. Libano. Un domino che cade senza mai spegnersi, alimentato da interessi economici e da una visione del mondo che non contempla la dignità di chi sta sotto il tacco della Storia. Gaza viene rasa al suolo, l’Ucraina viene logorata, la Russia cerca di rimanere in piedi.
E l’Europa? Silente. Schiava dell’atlantismo, delle lobby delle armi, incapace di pensare se stessa fuori dal ruolo di vassalla.
Ma il dramma più grande è un altro: ci siamo abituati. A Gaza come a Kharkiv, a Damasco come a Donetsk. I morti diventano numeri, le bombe diventano notizie di routine, le guerre diventano rumore di fondo nella nostra quotidianità. Questo è il vero trionfo del potere: farci accettare l’orrore come normale.
Eppure, non lo è. Non lo sarà mai. E un giorno, forse, chi oggi trama nel buio pagherà il prezzo della propria menzogna. Ma sarà troppo tardi. Perché la pace non si annuncia con una telefonata tra imperatori.
La pace si costruisce con la giustizia.
E qui, di giustizia, non c’è traccia.