C'è un silenzio innaturale nelle strade d'America. Lo stesso silenzio che precede le catastrofi, che si posa sulla pietra prima che il crollo sia compiuto.

Non il rumore assordante della rivoluzione, ma il sussurro del declino.

Trump ha scatenato il terremoto, ha tagliato, epurato, distrutto. Non per efficienza, ma per potere. Il più grande licenziamento di massa della storia americana non è una riforma, è una purga. Un’epurazione politica mascherata da burocrazia. Uno Stato mutilato, perché uno Stato integro sarebbe un ostacolo.

Per decenni abbiamo creduto al mito Americano, il grande Paese della libertà, della democrazia, della giustizia, chiudendo gli occhi davanti a tutte le sue contraddizioni.

Ma cos’è stata davvero l'America?

Forse soltanto un’illusione cinematografica, un Colossal costruito su sogni e inganni, in cui tutti siamo stati spettatori ingenui, sedotti dalla finzione.

Oggi il sipario a stelle e strisce si strappa, e dietro le luci, i dollari, i lustrini e le paillettes vediamo le fiamme che divorano Hollywood.

Oltre alla retorica delle bandiere sventolate, dei diritti, delle opportunità e del progresso, quello che si mostra oggi è solo un deserto amministrativo. Una macchina spogliata dei suoi pezzi, uno scheletro di Stato che non regge più il proprio peso.

Il massacro di San Valentino – così lo hanno chiamato nei forum dei lavoratori federali – è l’ennesima epurazione, l’ennesimo taglio, l’ennesima scure calata senza criterio. Migliaia di impiegati pubblici licenziati in una manciata di minuti, senza una giusta causa, con lettere raffazzonate, numeri di telefono inesistenti per ottenere risposte che non arriveranno mai, accuse di incompetenza rivolte a uomini e donne che per anni hanno fatto funzionare il sistema.

Nel cuore di Washington, un uomo di cinquant’anni siede sul marciapiede, la schiena curva, e le mani che stringono una lettera sgualcita. Era un ingegnere della sicurezza aerea. Guarda il traffico scorrere, il brusio della città che lo avvolge. Poi alza lo sguardo. Sopra di lui, gli aerei seguono rotte precise, le stesse che fino a poche ore fa dipendevano da lui. Ora quel cielo gli appare diverso. Meno sicuro. E, per la prima volta, si sente smarrito.

Accanto a lui, una donna che ha lavorato per la Fema – l’agenzia federale che dovrebbe proteggere il Paese dalle catastrofi – fissa il vuoto. Due settimane fa cercava di coordinare i soccorsi per le alluvioni in Kentucky. Fino a ieri si occupava di proteggere le case degli altri, mentre oggi non sa nemmeno se riuscirà a pagare il suo affitto.

Ma questo non è solo un attacco ai lavoratori, è un attacco alla dignità e alla democrazia stessa.

Chi vuole il potere assoluto, chi sogna un’ America senza ostacoli, senza regole, senza opposizione, ha bisogno di uno Stato ridotto ad un fantasma. Un Paese in cui non ci sono più istituzioni solide, ma solo ordini calati dall’alto. Non è il Governo che viene snellito, è la libertà che viene svuotata dall’interno.

E mentre il massacro va in scena, il grande circo mediatico non si ferma. Le serie tv, i talk show, la musica e il Superbowl continuano a recitare la parte di sempre. Il sogno americano si autocelebra ancora, mentre muore.

Non è un errore, è una strategia.

La cultura del consumo, il mito della ricchezza facile, l’intrattenimento a tutti i costi che rende tutti indifferenti, è questo il veleno che ha addormentato l’America prima di ucciderla. Il popolo è stato educato a non vedere. L’americano medio non si accorge del massacro, non si accorge che il suo Governo viene smontato pezzo dopo pezzo, perché ha già imparato a vivere senza di esso. Ha interiorizzato il vuoto.

Trump non ha creato questo disastro, lo ha solo cavalcato e accelerato. Ha capito che il popolo americano era già pronto. Pronto a tollerare tutto, a normalizzare l’ingiustizia e la diseguaglianza, a credere a ogni menzogna. Anni di televisione urlata, di reality show, di notizie ridotte a slogan lo hanno preparato ad accettare perfino il crollo del mito della propria libertà.

E su questo vuoto danzano i nuovi padroni: Elon Musk, e i miliardari della Silicon Valley, nuovi profeti del neoliberismo brutale. Musk esulta sui social ai licenziamenti, mentre il Paese sprofonda. Pubblica immagini di sé vestito da gladiatore, mentre il popolo non ha più chi lo difenda. Il nuovo Potere non ha più bisogno di Stato, non ha più bisogno di sicurezza sociale, non ha più bisogno di giustizia. Ha bisogno solo di seguaci, di sudditi, di acclamatori.

E noi, da questa parte dell’oceano, che facciamo?

Per decenni l’America ci ha insegnato e addestrato a desiderarla. Ha colonizzato il nostro immaginario, le nostre scelte e il nostro modo di vivere; ci ha convinti che il suo modello fosse il solo possibile. Ma adesso che si sta sbriciolando, che cosa resterà di noi? Quanto di questo crollo ci travolgerà?

La storia insegna, ma nessuno vuole ascoltarla. Gli imperi non crollano mai in un giorno. Roma non è caduta perché un esercito barbaro l’ha invasa. È caduta perché si è svuotata dentro. Prima della caduta, c’è stato il caos.

L’America sta seguendo la stessa strada. E noi, legati a lei da decenni di sogni in prestito, rischiamo di seguirla nel baratro.

Chi l'America l'ha sognata, e da bambino vedeva i film di Hollywood, sognando e credendo in quella libertà assoluta e a quelle strade infinite, oggi guarda questo disfacimento e non può che sentirsi come uno spettatore che scopre, forse troppo tardi, di aver guardato il mondo attraverso uno schermo deformato e rotto.

Trump passerà, come passano tutti i leader che credono di essere eterni. Ma ciò che sta lasciando dietro di sé non passerà. Il vuoto, la decomposizione dello Stato, la morte della politica, tutto questo resterà. L’America non tornerà indietro, perché il suo mito è già crollato.

Forse è già troppo tardi.

O forse non siamo mai stati in tempo.

Forse la libertà di cui parlavano non è mai esistita.

Forse abbiamo solo creduto a un racconto scritto per noi.

E ora che il film è finito, ci rendiamo conto che non siamo mai stati i protagonisti, ma solo comparse in una storia che altri hanno scritto e recitato anche per noi.