La donna afferma: «Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi».
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La scrittrice Michela Murgia, 50 anni, ha rivelato al Corriere della Sera in un'intervista ad Aldo Cazzullo di avere un tumore al quarto stadio, con metastasi «già nei polmoni, nelle ossa, al cervello» e che ora un’operazione «non avrebbe senso», spiegando di avere ormai «mesi di vita». Il suo ultimo libro "Tre ciotole", edito da Mondadori, in uscita il 16 maggio si apre con la diagnosi di un male incurabile ed è la vicenda autobiografica in cui la protagonista di uno dei racconti rifugge la definizione di tumore come di qualcosa di alieno da combattere, perché «non mi riconosco nel registro bellico. Parole come lotta, guerra, trincea...Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno».
La scrittrice sarda spiega di aver deciso di sposarsi «perché lo Stato chiede un ruolo» e che «mio marito saprà cosa fare». Intanto, mentre si sta sottoponendo a terapie, la scrittrice ha comprato una nuova casa «con dieci letti dove la mia famiglia può vivere insieme». Racconta che già nel 2014, quando era candidata alla presidenza della Regione Sardegna, le era stato diagnosticato un cancro al polmone ma di non averne parlato perché «non volevo pietà». Ora il cancro «è partito dal rene, ma a causa del covid avevo trascurato i controlli. Non si torna indietro ma non ho paura della morte. Mi sto curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti».
Nell'intervista la Murgia traccia un bilancio senza rimpianti, sottolineando: «Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi». Dice di aver vomitato più che per il tumore per l'odio ricevuto in risposta alle sue opinioni negli ultimi anni: «Prima dell’arrivo di Elly Schlein mi sono trovata, con pochi altri scrittori come Roberto Saviano, a supplire all’assenza della sinistra, a difendere i diritti e le libertà nel dibattito pubblico». «Mi dicevano: voi... Ma voi chi? 'Voi del Pd'. Ma io non ho mai votato Pd in vita mia». E sempre parlando di politica conclude: «Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio. Perché il suo è un governo fascista. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista».