Camici bianchi in fuga dall’Italia. E fin qui nessuna novità. A fare notizia è adesso è la destinazione prescelta. Sono più di 500 i lavoratori della sanità che negli ultimi tre mesi hanno volto la loro attenzione ai Paesi del Golfo: Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar le nuove mete predilette di medici e infermieri attratti soprattutto dagli stipendi d’oro e dai benefit offerti. La tendenza era in realtà già in atto, ma recentemente le richieste di trasferimento si sono impennate del 40%.

E così, mentre la Calabria apre le porte ai medici cubani, i nostri professionisti guardano altrove e cercano la via d'uscita da un sistema sanitario che non li valorizza né economicamente né, soprattutto, in termini di condizioni lavorative. Dopo le tante denunce di disagi, così, chi può attua la exit strategy. La fuga riguarda soprattutto il pubblico – già provato dall'esodo verso le strutture private – e, tra le regioni, Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna, Sicilia e, appunto, la nostra Calabria.

A scattare una fotografia del fenomeno è l’Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e l’Unione medica euro mediterranea (Unem), con tanto di dati: 450 professionisti italiani – di cui 300 medici tra generici e specialisti e 150 infermieri – e 50 europei residenti in Italia pronti a fare le valigie e trasferirsi in lidi più remunerativi.

L’occasione è creata dal crescente fabbisogno di cura nei Paesi del Golfo – in Arabia Saudita si stima che entro il 2030 serviranno 44mila medici e 88mila infermieri a causa dell’aumento della popolazione e dell’avanzamento dell’età – e dalla scelta di investire il 10% del Pil nella Sanità, con ospedali e cliniche all’avanguardia. Si cerca così anche di bloccare l’esodo dei pazienti che vanno a curarsi all’estero, principalmente Usa, Inghilterra, Germania e Francia.

I Paesi del Golfo Persico, ha spiegato Foad Aodi, presidente Amsi e componente della Commissione Salute globale della Federazione degli Ordini dei medici e degli odontoiatri, «hanno pochi laureati in medicina perché i ragazzi preferiscono optare per facoltà economiche o tecnologiche. Il 90% dei laureati dei paesi del Golfo Persico arriva dalla Palestina, Egitto, Siria, Giordania e Marocco. Ma non bastano».

E così i professionisti di casa nostra sono pronti a tuffarsi in una nuova esperienza. Ma ad attrarli sono soprattutto gli stipendi: per gli infermieri si parla di compensi che oscillano tra i 3mila e i 6mila dollari, per i medici tra i 14mila e i 20mila dollari al mese. E poi ci sono i benefit, che alle nostre latitudini sono spesso una chimera: servizi e alloggio, inserimento scolastico per i figli, agevolazioni fiscali, burocrazia decisamente più snella. Così il nostro già disastrato sistema sanitario si svuota di professionalità che, dopo essersi formate qui – con competenze riconosciute anche all'estero – cercano la propria realizzazione altrove, dove trovano migliori condizioni lavorative ed economiche.

Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar, nell’ordine, le mete più richieste, seguite dal Bahrein. Un fenomeno, ha commentato Aodi, che «non va trascurato»: «Da una parte incrementa la fuga all'estero dei professionisti della sanità italiani alla ricerca di valorizzazione, salari alti, serenità, esperienze all'estero sia professionale che di vita (la media della permanenza è di 4 anni). Contestualmente peggiora la situazione della carenza dei professionisti della sanità in Italia, in particolare la sanità pubblica (visto che la maggioranza dei professionisti disponibili sono nel pubblico e dalla Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna e Sicilia e Calabria)».

A dettare il trend, come sottolineato dallo stesso Aodi, le stelle del calcio come Cristiano Ronaldo, Neymar o l'ex ct della nazionale italiana Roberto Mancini.

«Ci sono medici già in pensione – ha detto il presidente Amsi – ma molti sono giovani che vogliono trasferirsi anche con la famiglia e non tutti guardano solo all'aspetto economico, che pure è una componente importante: si cercano qualità di vita e migliori condizioni di lavoro».

La fuga, dunque, non si ferma. Un’emorragia che in Italia è già in atto e denunciata da tempo e vede molti abbandonare il pubblico per il privato, che offre condizioni lavorative meno stressanti e stipendi migliori, e moltissimi migrare in altri Paesi d’Europa o negli Usa. Adesso, la voragine che risucchia i professionisti della Sanità rischiando di desertificare ulteriormente le corsie dei nostri ospedali, si allarga.

Stipendi e benefit, dunque, senza contare la burocrazia molto più snella. «Bastano tre mesi a fronte dell'anno e mezzo di attesa che registriamo in Italia per essere ammessi dalla presentazione della domanda – ha evidenziato Aodi –: con diploma di formazione, specializzazione e certificato di buona condotta del ministero e dell’Ordine professionale alla mano. E ovviamente un ottimo inglese. Il curriculum minimo varia in base alla professione: gli infermieri devono essere in attività da almeno due anni, i medici specialisti da tre anni e i medici generici da 5 anni».

«In 30-40 giorni – ha aggiunto – c'è il riconoscimento del titolo di laurea questo fa sì che si possa iniziare a lavorare da subito, non come in Italia dove - se sei un medico straniero - per fare i concorsi serve la cittadinanza e per il riconoscimento della laurea ci mettono anche un anno. Abbiamo oltre 3mila medici che per questo sono fermi mentre potrebbero lavorare anche nel Ssn. Serve accelerare e togliere l'obbligo della cittadinanza per i medici stranieri per partecipare ai concorsi. Anche perché a queste prove in alcune realtà non si presenta nessuno e poi vengono chiamati i medici cubani o argentini».