Esami anche di domenica, promozioni-lampo e docenze prima della laurea. La titolare del dicastero del Lavoro replica: «Nessun reato, la storia finisce qui. Ora valuto azioni per diffamazione»
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La procura di Roma ha aperto un fascicolo, al momento senza indagati né ipotesi di reato, sul percorso accademico della ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone. L’inchiesta nasce da un esposto presentato da Saverio Regasto, professore ordinario di diritto pubblico comparato all’Università di Brescia, che chiede chiarezza su come la ministra abbia conseguito i suoi titoli alla Link Campus University. «Non è un attacco politico – ha spiegato il docente – ma un’iniziativa per etica pubblica, a tutela della credibilità del sistema universitario italiano».
I punti contestati sono numerosi: una laurea magistrale ottenuta con il massimo dei voti senza traccia ufficiale della laurea triennale, esami sostenuti in giorni ravvicinati, anche due al giorno e perfino la domenica, l’assenza di commissioni d’esame doppie come impone la legge. Calderone, secondo l’esposto, avrebbe inoltre iniziato a insegnare alla Link mentre era ancora iscritta all’ateneo, ricoprendo contemporaneamente il ruolo di presidente del Consiglio nazionale dei Consulenti del Lavoro.
A rendere ancora più delicata la vicenda è il ruolo del marito della ministra, Rosario De Luca, all’epoca membro del consiglio di amministrazione e docente presso la stessa Link Campus. Proprio questi intrecci tra potere accademico e cariche istituzionali sollevano dubbi anche sulla trasparenza delle procedure. Nessuno ha chiarito, finora, se le docenze di Calderone e del marito siano mai state comunicate ufficialmente al Ministero o all’Anvur.
Da parte del governo, finora, nessuna risposta concreta. Durante il question time del 26 marzo, la ministra Calderone si è limitata a leggere una dichiarazione in cui ha parlato di «dossieraggio politico», senza però smentire le singole accuse o fornire elementi tecnici a sua difesa. La ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha risposto alle opposizioni con un generico «sono d’accordo con lei», senza dare seguito alla richiesta di un’informativa.
Nel frattempo, la Link Campus ha rimosso dal proprio sito le pagine più compromettenti, comprese quelle che elencavano Calderone e De Luca tra i docenti. Anche la voce Wikipedia della ministra è stata modificata: cancellata ogni traccia di una presunta laurea all’Università di Cagliari, mai confermata. Nessun commento ufficiale è arrivato né dal Ministero dell’Università né dagli enti di controllo come l’Anvur o la Crui.
L’ex rettore Adriano De Maio, in una dichiarazione riportata dai giornali, è stato tranchant: «Lì si compravano i titoli di studio». Un’accusa grave, che riaccende i riflettori su una vecchia conoscenza della cronaca giudiziaria: la Link Campus University. L’ateneo è già finito sotto inchiesta dalla procura di Firenze per presunte “lauree facili” concesse a funzionari della Polizia di Stato, grazie a una convenzione con il sindacato Siulp. La sentenza di quel processo è attesa per giugno. Anche il Consiglio dei Consulenti del Lavoro, ai tempi presieduto proprio da Calderone, firmò una convenzione simile con l’università.
La ministra ha commentato l’apertura del fascicolo con una nota affidata al suo legale, l’avvocato Cesare Placanica: «Prendo atto con grande soddisfazione della determinazione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma che, con riferimento all’esposto sporto nei miei confronti, ha sancito l’inesistenza di ogni ipotesi di reato e di conseguenza non ha iscritto alcun indagato nel registro delle notizie di reato. Per me, dopo tale autorevole avallo, la storia finisce qui».
Poi ha aggiunto: «A questo punto ho il dovere di procedere per il reato di diffamazione per ogni malevola illazione contro la mia persona».
Ma il tema resta aperto. In un Paese dove ogni giorno migliaia di studenti affrontano con fatica e impegno percorsi universitari lunghi e complessi, è lecito chiedere chiarezza su vicende che sembrano raccontare scorciatoie e privilegi. La credibilità delle istituzioni, specie quelle accademiche, non può permettersi zone d’ombra.