Il movimento dei mezzi militari a Rafah sembra essere la preparazione per un'invasione della città di confine, ultima roccaforte di Hamas nel sud della Striscia
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Israele stringe i tempi dell'attacco a Rafah, ultima roccaforte di Hamas nel sud di Gaza dove potrebbero essere tenuti prigionieri gli ostaggi, e rifugio per oltre un milione di palestinesi in fuga. L'esercito ha ammassato decine di carri armati e veicoli blindati lungo il confine meridionale con Gaza, al valico israeliano di Kerem Shalom, vicino a Rafah, come hanno riferito giornalisti che hanno visto il movimento dei mezzi militari. Un'operazione sostanzialmente già annunciata nel pomeriggio di giovedì, quando l'esercito israeliano (Idf) ha informato il governo che le sue forze hanno completato i preparativi per entrare a Rafah e che la data dipende solo dal gabinetto di guerra.
L'Idf ha aggiunto che la brigata 162, finora nel nord e nel centro della Striscia, si è avvicinata alla città meridionale. Uscendo dal teso e prolungato gabinetto di guerra, un alto ufficiale israeliano ha parlato chiaro: «Siamo diretti a Rafah senza dubbio. Non c'è contraddizione tra questa operazione e un accordo per la restituzione degli ostaggi. Più ci avviciniamo a Rafah, più il coinvolgimento egiziano aumenta, naturalmente». I preparativi insomma sembrano essere nelle fasi finali, tra riunioni del gabinetto di guerra, riposizionamenti delle brigate e nuovi raid aerei sulla meridionale della Striscia, in cui sono morti - solo nelle ultime ore - un cooperante di un'agenzia belga e il figlio di 7 anni.
Con gli Stati Uniti che da una parte ribadiscono la loro contrarietà all'operazione cercando di convincere Israele che esistano «altri modi per colpire Hamas», e dall'altra riuniscono una coalizione di 18 Paesi per chiedere «il rilascio immediato di tutti gli ostaggi a Gaza» come precondizione «affinché si raggiunga un cessate il fuoco». Insieme agli Usa, all'iniziativa hanno aderito Francia, Germania, Gran Bretagna e altre 14 delle 25 nazioni che hanno loro cittadini nelle mani di Hamas. «Le pressioni americane non hanno valore», ha subito replicato un alto funzionario della fazione palestinese, Sami Abu Zuhri, reiterando la richiesta della fine della guerra come parte di qualsiasi accordo.