Dopo che ieri Di Maio ha invocato l'intervento risolutivo di Mattarella oggi il primo ministro riferirà in Parlamento. E parte il toto-nomi per il successore
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È il d-day del governo. Ieri, nel giorno dell'assemblea M5s alla Camera e delle accuse del vicepremier Matteo Salvini contro il rischio di un esecutivo che da gialloverde viri al giallorosso (con il Pd più Leu) poche sono state le certezze sull'evoluzione possibile della situazione: tutto dipenderà dal contenuto delle comunicazioni di Giuseppe Conte. E per questo sempre più il Quirinale appare come punto di riferimento per sbrogliare la matassa. Un'impressione 'taumaturgica', quella di chi indica nel Colle la chiave di volta del rebus della crisi d'agosto, che viene rilanciata spesso, anche se poi, in realtà, è verosimile che sarà Sergio Mattarella ad aspettarsi parole il più possibile risolutive dai protagonisti della vicenda. Al Quirinale non si è fatto mai mistero del fatto che ci si attenderà dalle forze politiche, dai partiti e dai gruppi delle valutazioni coerenti e solide sulla configurazione di una possibile nuova maggioranza. Ma quanto i partiti potranno dire dipenderà a sua volta anche dall'atteggiamento del premier e dalla decisione in merito alle dimissioni. Quel che appare abbastanza scontato è che la tabella di marcia delle consultazioni al Colle non sarà né serrata né distesa: i tempi saranno tendenzialmente rapidi.
Salvini al bivio
Alla vigilia delle comunicazioni del premier Conte in Senato, i contatti tra le parti (Pd e M5s) sono andati avanti con discrezione durante una giornata in cui ha soprattutto tenuto banco l'assemblea dei gruppi parlamentari pentastellati. Il percorso tracciato già da qualche giorno è stato confermato come intatto, senza negare difficoltà ("enormi") e la possibilità di sorprese dell'ultimo minuto: Conte parla in aula, prende atto della mancanza di una maggioranza e sale al Colle a riferire. Da lì, si apre formalmente la crisi. Fino ad allora, tutto si muove sotto traccia. Specie al Pd, dove il segretario Nicola Zingaretti non sposta di un millimetro il Nazareno dalla posizione ufficiale: governo "forte" o "meglio il voto".
Intanto, però, gli 'sherpa' dem e quelli grillini sono andati avanti con lo scambio di messaggi e telefonate. Dai quali è trapelato un certo ottimismo: «Al Colle, quando sarà il momento, potremo offrire una maggioranza superiore di quella M5S-Lega al Senato», viene assicurato da chi tiene contatti (e pallottoliere) tra le parti. L'allusione a 'transfughi' di Forza Italia che assicurerebbero anche di superare quei 162 sì avuti a palazzo Madama il giorno dello stop a Salvini. Nei contatti intercorsi, nei quali M5s avrebbe confermato l'esito del vertice di Bibbona e il no al ritorno con Salvini, si sarebbe quindi lavorato in particolare su due fronti. Primo, i temi da proporre per un accordo di legislatura con particolare attenzione al pacchetto da inserire nella legge di Bilancio per scongiurare lo scatto dell'Iva. È per questo motivo, per completare quel processo di digitalizzazione del Fisco capace di assicurare quel di più di entrate da usare per neutralizzare le clausole, che circolava il nome di Ernesto Ruffini per la squadra di governo.
E poi la figura del premier. Da questo punto di vista restano in campo diverse ipotesi. Se («ma non è affatto scontato», viene sottolineato) ci dovesse essere un premier M5s, Roberto Fico resta il nome con le maggiori chance. In questo caso, la presidenza della Camera andrebbe al Pd (Franceschini oppure un renziano, a seconda delle alchimie). Nel totonomi però a scapito di un uomo di partito (Enrico Letta, Walter Veltroni) o di area (Raffaele Cantone, Enrico Giovannini), si farebbe spazio di ora in ora una figura da ascrivere al club delle "riserve della Repubblica". Per quel che riguarda il Conte-bis, gli sherpa del Pd avrebbero confermato il loro 'no, grazie', escludendo però qualsiasi tipo di veto a un trasloco del premier alla Farnesina («come Dini che nel '96 passò da palazzo Chigi al ministero degli Esteri») più che Bruxelles. Le stesse fonti ammettono che resta sul campo "la spina Di Maio". Infine, la presenza di Matteo Renzi in un eventuale esecutivo di scopo: «Renzi non è candidato a nulla, perché lui non vuole e perché ha fatto un ragionamento per l'Italia», sottolineano fonti vicine al senatore del Pd. Lo stesso varrebbe per Maria Elena Boschi. Diverso, invece, il discorso per qualcuno di “area renziana”. Per un possibile ingresso in un governo di scopo circolano i nomi di Anna Ascani, Simona Malpezzi, Lorenzo Guerini, Emanuele Fiano. (Adn Kronos)