“Paraculetto". L'aggettivo usato dal portavoce nazionale di Forza Italia Raffaele Nevi, per definire Matteo Salvini e la sua strategia sul canone Rai, fa ben capire quale resti il livello di scontro fra azzurri e Lega, dopo il doppio inciampo sul decreto fiscale. Fibrillazioni su cui da più parti della maggioranza si cerca di porre un limite, e su cui Giorgia Meloni avrebbe intenzione di evitare ogni accenno quando nel pomeriggio si riunirà il Consiglio dei ministri. Un tema che invece sarebbe stato affrontato nel colloquio fra la premier e il presidente della Repubblica, programmato da giorni e avvenuto ieri, a un paio d'ore dal caos in Senato, subito dopo un breve faccia a faccia fra Meloni e Antonio Tajani a margine dei Med Dialogues.

Nel day after, la presidente del Consiglio avrebbe avuto contatti con i due vicepremier. «È andata come doveva andare», avrebbe ragionato con i suoi, si racconta in ambienti della coalizione, tirando le somme dopo la spaccatura della maggioranza, in cui FdI si è schierata assieme alla Lega sul canone, in una votazione dall'epilogo quasi scontato.
All'interno del centrodestra c'è chi vede nelle mosse di Meloni una strategia per contenere da un lato le spinte di FI e dall'altro le fughe in avanti della Lega. Nessuno, fra i protagonisti della coalizione, ignora però il rischio che ora possano restare cicatrici sulla maggioranza, in un momento cruciale come l'approvazione della manovra in Parlamento.
«Nessun litigio», taglia corto Tajani, che con i fedelissimi rivendica di aver tenuto il punto e di aver dimostrato che il partito è unito. «Ora facciamo raffreddare le acque», il messaggio del leader (che nei giorni scorsi ha convocato il Consiglio nazionale per il 13 dicembre). Intanto, però, Nevi ha invitato la Lega a darsi «una calmata: abbassi i toni e torniamo a parlarci di più». Con quell'appellativo per Salvini che in romanesco suona come 'furbetto'. Servono quattro ore per la nota con cui l'azzurro si scusa se le sue parole «sono risuonate come offensive nei confronti del leader della Lega».

«Peace and love», replica il vicepremier, al termine di una giornata in cui gli altri leghisti rispettano quasi rigidamente l'ordine di scuderia di non commentare: «È FI che ha votato con il Pd...». A minimizzare l'incidente parlamentare in cui il governo è andato due volte sotto ci prova anche Giancarlo Giorgetti. «Queste cose sono sempre accadute, non bisogna enfatizzare troppo. L'importante - nota il leghista ministro dell'Economia -, come si dice nel calcio, è che regga la difesa: c'è un buon portiere e teniamo posizione, quindi tranquilli». Lo spogliatoio del centrodestra è però attraversato da una evidente concorrenza. Dopo la crescita alle Regionali, FI reclama il ruolo «incontrovertibile» di seconda forza della coalizione, secondo una logica contestata però dalla Lega e dalla stessa Meloni, secondo cui valgono i numeri in Parlamento.

Prove di forza che potrebbero presto ripetersi. Perché i dossier aperti non sono pochi. Dalla distribuzione delle deleghe di Raffaele Fitto, alle modifiche alla manovra. Passando per il capitolo Rai. Non solo la partita dei vertici, con il piano di FI di ottenere la presidenza per Simona Agnes che non decolla.

Depositata alla Camera c'è una proposta del leghista Stefano Candiani per aumentare i limiti di affollamento del tetto pubblicitario della tv di Stato. Uno scenario visto come fumo negli occhi dagli azzurri e con potenziali ricadute negative per altre emittenti, come quelle di Mediaset, della famiglia Berlusconi. Sospetti incrociati che all'interno della maggioranza rendono l'aria piuttosto pesante. Anche per questo Meloni conta di evitare che il tema rovini il clima nell'ultimo Consiglio dei ministri di Fitto, che riceverà saluti e applausi dai colleghi prima delle dimissioni e del trasferimento a Bruxelles. All'ordine del giorno c'è anche il decreto legge cyber, già due volte slittato, anche per le perplessità di FI.