Le nomine di Trump stanno creando particolare agitazione dentro il partito repubblicano e fra i senatori moderati. I senatori repubblicani, infatti, sono in subbuglio per le scelte più controverse dell’ex e futuro Presidente e, alcuni di loro, non si nascondono nel volerlo sbandierare ai quattro venti. Nell’occhio del ciclone ci sono: Matt Gaetz alla Giustizia, Bobby Kennedy jr alla Salute, Tulsi Gabbard all’Intelligence e Pete Hegseth alla Difesa.

La nomina che fa più discutere è, senza dubbio, quella di Gaetz. Essa è anche e soprattutto quella più a rischio: già due senatori – Lisa Murkowski (Alaska) e Susan Collins (Maine) – hanno detto che non lo voteranno. Il Procuratore Generale nominato ha deciso di dimettersi mercoledì dal suo ruolo di deputato per evitare che la Commissione Etica della Camera pubblicasse i risultati di una indagine su di lui per presunta cattiva condotta sessuale e uso di droghe illecite. Il Presidente della Camera Mike Johnson sta cercando di impedire la pubblicazione del rapporto, adducendo come motivazione la violazione delle tradizioni della Camera per via delle dimissioni di Gaetz ma dal Senato arrivano richieste bipartisan per la pubblicazione, invocando a gran voce la pubblicazione e la visione dei risultati prima di procedere con la conferma. La senatrice Murkowski a proposito di questa nomina ha affermato: «Non credo sia una nomination seria e credibile per il ruolo di Procuratore Generale. Abbiamo bisogno di una nomina seria». Per affossare la nomina di Gaetz servono quattro voti contrari dei repubblicani, oltre a tutti quelli democratici, eppure voci confermano che sarebbero addirittura trenta i senatori repubblicani a votare contro questa nomina.

Pete Hegseth alla Difesa è un’altra nomina che fa discutere. Sul giornalista di Fox è saltato fuori che nel 2017 è stato indagato per presunte molestie sessuali in California nel 2017. Lo staff di Trump sta riflettendo sulla sua nomina (affermando a fonti autorevoli che potrebbero uscire fuori altre accuse) e potrebbe essere il primo a saltare, considerando che al momento della nomina Trump, sempre secondo lo staff, non sapeva di queste accuse. Hegseth ha servito nella Guardia Nazionale dell'Esercito ed è un veterano noto per le sue posizioni controverse, inclusa l'opposizione al servizio militare delle donne in ruoli di combattimento ma, soprattutto, la difesa di coloro che hanno tentato di prendere possesso del Campidoglio il 6 gennaio 2021 e di sovvertire l’esito delle elezioni.

Tulsi Gabbard come direttrice dell’Intelligence Nazionale sta facendo dormire sonni poco tranquilli. L’ex democratica nonché supporter della candidatura di Bernie Sanders nel 2016 e già candidata alle primarie democratiche nel 2020, passata ai repubblicani quest'anno, viene accusata di essere troppo vicina alla Russia. La Gabbard ha posizioni favorevoli su figure controverse come Edward Snowden, whistleblower dell’Nsa in esilio proprio in Russia e sul presidente, dittatore de-facto, siriano Bashar al-Assad, che hanno allarmato sia i senatori repubblicani che gli esperti e i funzionari di sicurezza nazionale.

Infine, Bobby Kennedy jr alla Salute e ai Servizi Umani. Questa nomina potrebbe essere paragonata a quella di Harriet Miers come giudice alla Corte Suprema da parte di Bush Jr. nel 2005, che poi dovette ritirare a fronte di una richiesta bipartisan. I democratici, in questo caso, hanno due scelte: approvare qualcuno totalmente non qualificato – al netto di un cognome di una importanza unica – e, nel caso di Kennedy, ossessionato da alcune pessime idee (no-vax e complottiste), o vederlo sostituito da un una personalità repubblicana più qualificata, probabilmente più efficace. Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani ha molta influenza sui diritti riproduttivi (diritti e libertà legali relativi alla riproduzione e alla salute riproduttiva). Kennedy è pro-choice, quindi a favore della libertà di scelta della donna riguardo all'aborto. I gruppi pro-life, quindi a favore della vita del nascituro e contro l’aborto e la volontà di scelta della donna, stanno già cercando di affondare questa candidatura. Un esempio viene dall’ex vicepresidente Mike Pence, il quale ha subito bollato la nomina come inaccettabile per via delle posizioni troppo moderate del nipote del Kennedy presidente per l’ala pro-vita dei repubblicani.

Queste quattro nomine stanno creando tensioni e scontri interni nel partito che, almeno sulla carta, per almeno i prossimi due anni, avrà la maggioranza sia alla Camera, seppur di poco, che al Senato. Tommy Tuberville, senatore dell'Alabama, ha minacciato, più che avvertito, i colleghi contrari a queste nomine di “farsi da parte” se non intendono sostenere le nomine di Trump, avvisandoli che chi dovesse votare contro sarà sfidato alle primarie interne alle prossime elezioni. Una posizione che ha provocato la dura reazione della senatrice Murkowski, la quale ha ribadito il ruolo costituzionale del Senato nel processo di conferma: «Non accetterò mai il fatto che il Senato degli Stati Uniti debba essere solo un'estensione della Casa Bianca».

Mancano 64 giorni al giuramento di Trump ma la sensazione è che le frizioni arriveranno prima del 20 gennaio. Le strade per il Tycoon sono due: procedere ad oltranza e procrastinare con queste nomine oppure cercare una mediazione, ascoltando le richieste dei senatori repubblicani moderati. Delle due, quindi, l’una: o Trump uscirà vincitore da una sfida fratricida oppure sarà la prima vera dimostrazione che esiste una resistenza interna pronta ad alzare le barricate pur di ristabilire l’ordine, naturale e costituzionale, delle cose. Qualcuno certamente non amico degli Stati Uniti, una volta disse: “Grande è la confusione sotto il cielo” ma, per i repubblicani, adesso, la situazione non è per niente eccellente.