Dalla provincia di Caserta giunse a Londra negli anni ’60 ma non ha diritto alla cittadinanza per colpa di alcuni documenti antecedenti all'ingresso del Regno Unito in Europa che ora sono introvabili
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Anna Amato è una donna italiana di 57 anni, di cui 55 vissuti in Regno Unito, dopo esser arrivata dalla provincia di Caserta con la madre negli anni Sessanta. Ha marito e due figli tutti britannici e ovviamente parla un inglese perfetto, madrelingua, oltre a qualche ricordo di italiano rimastole dall'infanzia. Eppure tutto questo sinora non è bastato a farle avere la cittadinanza britannica, né la residenza permanente, nel vortice burocratico delirante ed imminente della Brexit.
A riportare la sua storia è “Repubblica” alla quale confida di essere «distrutta, disgustata, indignata da questa vicenda, non so dove andare adesso, che cosa fare. Mi trattano già come una cittadina di serie B. Mi è caduto il mondo addosso. Il governo italiano mi aiuti». Anna è arrivata a Bristol, 55 anni fa, insieme alla madre. Ha frequentato le scuole, poi a 17 anni ha iniziato a lavorare come impiegata in un ospedale pubblico, poi dopo altri lavori da libera professionista, consulente e assistente e infine per circa 20 anni ha gestito un negozio di "pizza take-away, dichiarando di aver «sempre pagato le tasse». La domanda che sorge spontanea è: com'è possibile che lo Stato britannico non riconosca il suo diritto alla cittadinanza o alla residenza permanente?
«È devastante. Purtroppo tutta la mia documentazione - prosegue la donna - non è bastata a dimostrare di aver vissuto per almeno cinque anni di fila sul suolo britannico» perché «i documenti antecedenti all'ingresso del Regno Unito in Europa non sono stati digitalizzati e quindi ora sono introvabili. Nel mio caso specifico - spiega Anna - le scuole che ho frequentato a Bristol negli anni Sessanta, per esempio, hanno chiuso e hanno buttato i documenti. Idem l'ospedale dove iniziai da giovanissima, che non esiste più come altri luoghi di lavoro dei decenni successivi. Ho mandato qualsiasi tipo di documento al Ministero dell'Interno, almeno quelli che mi sono rimasti perché fino al referendum della Brexit molti, come me, non avevano chiesto la cittadinanza o simili. Perché ci sentivano protetti, al sicuro, in Europa».
Ma le sicurezze crollano quando Anna inizia le pratiche per la cittadinanza nel 2017, un anno dopo il referendum della Brexit. «Ho inviato loro tutti i documenti che avevo: le ricevute delle tasse pagate che mi erano rimaste, il mio National Insurance Number (una sorta di codice fiscale in Regno Unito, ndr), le carte della mia casa di proprietà, qui a Bristol. Ho mandato alle autorità un plico così colmo di documentazioni per dimostrare che ho sempre vissuto qui che mi è costato 35 sterline. Ma niente, niente. Secondo la risposta del Ministero dell'Interno, non ho il diritto di avere la residenza permanente in Regno Unito e quindi nemmeno la cittadinanza».
Anna Amato però non vuole appellarsi al "settlement scheme", cioè il programma del governo britannico che include in un database tutti i cittadini europei che hanno vissuto in Regno Unito negli ultimi anni in modo che possano continuare a vivere oltremanica. «Mai. Sarebbe un'umiliazione troppo grande per me dopo aver vissuto tutta la mia vita in questo Paese. Già non mi hanno concesso la residenza permanente: e se ora mi dessero uno status provvisorio di cinque anni? Sarebbe un colpo ancora più devastante per me. I miei diritti sono stati calpestati, infangati. E non c'è nessuno a difenderli».
«Il Regno Unito e l’Italia mi hanno tradita»
La donna si dice frustrata per il trattamento che dovrà ricevere tra cui «l'umiliazione di essere interrogata in una stanza dalle autorità per l'immigrazione. Sono arrivata alla conclusione che le autorità britanniche bloccano scientemente le domande di cittadinanza e di residenza permanente. Difatti, mi sento già una cittadina di seconda classe, dopo aver vissuto tutta la mia vita qui. Ti fanno sentire un numero, non una persona che ha dato tutto a questo Paese. Inizi ad avere dubbi sulla tua identità, su chi sei veramente, su quale sarà il tuo futuro. Secondo le autorità britanniche, io sono colpevole perché non riesco a dimostrare di aver vissuto qui per 55 anni dei miei 57 di vita. Mio marito e i miei figli britannici sono impotenti in questa tragedia».
E conclude lanciando un’invettiva ad entrambi i Paesi in cui ha vissuto: «Il Regno Unito mi ha tradita. Ma mi ha tradito anche l'Italia", "perché l'Italia, di cui sono cittadina, dovrebbe intervenire per difendere i miei diritti calpestati e di tanti altri come me. Far sentire la propria voce. Invece mi sento sola, abbandonata. Se mio padre, deceduto di recente, fosse ancora vivo, oggi morirebbe di crepacuore a vedermi trattata così, dopo tutti i sacrifici che ha fatto per garantirmi un futuro che ora mi è crollato addosso».