Ha camminato sul filo il vescovo di Milano Mario Delpini, che ha pronunciato la sua omelia ai funerali di Berlusconi. Ha camminato sul filo come un funambolo che è consapevole della difficoltà ma ha tutta la sicumera della sua arte e non teme di cadere perché sa che quello è il modo giusto per restare in equilibrio.
Quattromila occhi e quattromila orecchie
erano rivolte verso di lui per cogliere il significato delle parole che avrebbe detto in memoria del Cavaliere, che giaceva dentro una bara davanti all'altare del Duomo di Milano. Ed è stata una omelia coraggiosa, senza ipocrisie, senza una retorica scontata, che ha evocato le ambizioni di un uomo, i suoi desideri, le sue ombre. Ambizioni, desideri e ombre che potrebbero essere di qualunque altro uomo e di qualunque altra donna, senza funerali di Stato a celebrarne la memoria.

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Ha fatto di Berlusconi un archetipo di normalità, senza umiliarne il ricordo ma riconducendolo nel novero di quella umanità dolente che ogni giorno sobbalza quando suona la sveglia e tutto ricomincia. «Vivere - ha esordito il vescovo -. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che c’è sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita».

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Ma cos’è la vita senza amore? E dunque «amare ed essere amato», questo è il segreto. «Amare e cercare l’amore - ha continuato Delpini, pensando a Berlusconi ma parlando a tutti, nessuno escluso -, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande. Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento». Se non fosse per la chiosa sacerdotale, quello che ha detto l’arcivescovo andrebbe bene in qualunque saggio laico sul senso dell'esistenza umana. Ma non si è fermato qui, incalzando il morto davanti a sé come se fosse stato un ragazzetto a lezione di catechismo.

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 «Essere contento e amare le feste – ha detto, facendo risuonare le sue parole nella cattedrale -. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria. Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento».

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Berlusconi, alla fine di tutto, è soltanto un uomo dinnanzi a Dio. Un messaggio semplice ma dirompente che ha incrinato la beatificazione di Stato, che ha scompaginato la retorica dello statista, dell’inarrivabile self-made man. Era un uomo come ce ne sono milioni, miliardi. Ognuno con il suo desiderio inappagato di vera felicità e con le sue miserie, con la sua “fedeltà compromessa”. «Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere - ha continuato -. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte», ha detto l’arcivescovo avviandosi alla conclusione, a sottolineare che l’unanimità di giudizio non può essere imposta dal successo, dalla ricchezza, dal potere.

«Silvio Berlusconi - ha concluso, citandolo per la prima volta - è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio».  Applausi, sipario, pace all’anima sua.