Il tycoon non è lo stesso del 2016 e le prime nomine lo confermano: ha scelto una serie di fedelissimi. Ecco chi sono: vizi e virtù degli uomini (e delle donne) che guideranno gli Stati Uniti
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Esiste un dato inconfutabile: Donald Trump non è lo stesso del 2016. E, lo si capisce, dalle prime nomine della sua imminente Amministrazione. Niente compromessi, nessuna nomina di cortesia e solo persone che rispondono direttamente a lui. È un Trump che viaggia spedito, con i paraocchi, voglioso di circondarsi solo di gente che sarà, prima di tutto, fedele a lui.
Da Elon Musk e Vivek Ramaswamy all’Efficienza Governativa, a Kristi Noem alla Sicurezza Interna e Peter Hegseth alla Difesa, passando per le nomine storiche di Marco Rubio come Segretario di Stato – primo latino a ricoprire questo incarico – e di Susan Wiles come Capo dello Staff – prima donna – e, finendo, a quelle più controverse di Tulsi Gabbard come Direttrice dell’Intelligence e di Matt Gaetz come Procuratore Generale (l’equivalente del nostro Ministro delle Giustizia). Tutte queste nomine hanno come comune denominatore: la fiducia incondizionata che Trump nutre verso queste persone, le quali, con ogni probabilità, dovranno anteporre l’interesse del Presidente a quello della Nazione. È cosa nota che con l’ex e futuro inquilino della Casa Bianca sia così. Nel Paese che ha sempre portato avanti il detto: «Patriottismo significa stare dalla parte del Paese, non vicino al Presidente», oggi più che mai, queste parole trovano scarsa applicazione.
La squadra che si appresta a governare il Paese, infatti, a breve dovrà passare dalle mani – o grinfie, a seconda dei casi – del Senato, che deciderà in merito alla quasi totalità delle nomine.
A differenza dell’Italia, dove i Ministri vengono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, negli Stati Uniti il processo di conferma dei singoli Segretari segue logiche del tutto differenti. È, infatti, il Senato a confermare i componenti del Gabinetto dopo aver svolto una serie di audizioni, sia in commissione che in plenaria, e aver votato a maggioranza semplice.
Se, come è facile prevedere, alcune nomine saranno di facile valutazione e passeranno con ancora più estrema facilità, altrettanto non si può dire di alcune di queste: Tulsi Gabbard e Matt Gaetz, cui presto potrebbe unirsi Robert Kennedy jr come Segretario alla Salute, avranno più di qualche semplice complicazione. Il motivo? Esistono alcuni senatori repubblicani che, nonostante siano dello stesso partito del futuro Presidente, non guardano di buon occhio alle figure nominate. Matt Gaetz, ad esempio, si è addirittura dovuto dimettere da deputato per impedire che la Camera pubblichi i risultati di una indagine che la stessa sta(va) conducendo su di lui. Gaetz, infatti, è al centro di una inchiesta per presunte relazioni inappropriate con una minore e una possibile violazione delle leggi sul traffico sessuale.
La Gabbard è stata ripetutamente accusata di essere una agente sottocopertura della Russia, Kennedy è un no vax con inclinazioni complottiste. Tutte posizioni che, soprattutto chi appartiene al vecchio partito repubblicano, ha intenzione di vagliare con serietà ma, soprattutto, con avversione. Non è da escludere, qualora Trump se ne rendesse conto, un cambio di nomina ma, anche, qualora il Tycoon volesse, un procrastinarsi della situazione, con conseguente allungamento della procedura di nomina e, soprattutto, dei Segretari che non sarebbero nella totalità delle loro funzioni perché, appunto, non confermati dal Senato.
Esiste, inoltre, un altro rischio che, forse, è da ritenersi calcolato. Alla Camera i repubblicani hanno ottenuto la maggioranza per pochi seggi – chiuderanno fra i 220 e i 222 deputati – ma Trump ha deciso già di nominare 3 deputati nella sua Amministrazione. La maggioranza assoluta in questa Camera del Campidoglio è pari a 218, ponendo l’ipotesi che i repubblicani chiuderanno a 222 seggi (ipotesi rosea), togliendo 3 deputati, saremmo a 219, un solo seggio in più rispetto alla maggioranza. Trump non ha concluso le nomine e, potrebbe, decidere di puntare su altri deputati a lui vicini. Anche qualora non lo facesse, basterebbero due defezioni per andare sotto. I più critici verso Trump sostengono che il rischio sia calcolato e voluto, in quanto Trump scaricherebbe la responsabilità sull’ostruzionismo e sull’opposizione da parte dei democratici. Resta il dato di fatto: Trump ha depauperato il piccolo margine di vantaggio che aveva alla Camera.
Occorre domandarsi, dunque, fino a che punto Trump abbia intenzione di forzare la mano, considerando che la nuova leadership repubblicana al Senato non gli è così particolarmente favorevole. Delle due l’una: o Trump riuscirà ad imporre il Gabinetto che vuole, oppure, assisteremo alla prima spaccatura fra il Presidente e il suo stesso partito. Allora sarà chiaro se il patriottismo sarà ancora della parte del Paese o da quella del Presidente. Una certezza, infine, cristallina: qualunque cosa sarà, essa è il frutto della decisione della volontà popolare, sia in termini di Grandi Elettori che di voto popolare. L’America ha scelto. E scegliendo Trump sa benissimo a cosa va incontro.