Un pesce di profondità. Così lui stesso si definisce e probabilmente una simile descrizione calza a pennello rispetto all’immagine che di lui viene fuori dalla sentenza Gotha. Parliamo di uno dei personaggi chiave, per molto tempo rimasto nell’ombra ed il cui ruolo è emerso solo a seguito delle inchieste che lo hanno posto sotto i riflettori. Lui è Antonio Marra, professione avvocato, ma da molti considerato anche un “confidente” o, per dirla con le parole dei giudici, un “leva e porta”, espressione tipicamente locale per indicare colui che trasferisce le informazioni da una fonte all’altra e viceversa. È lui il protagonista della quarta puntata del podcast che sta raccontando i personaggi chiave del processo più complesso degli ultimi trent’anni in riva allo Stretto.  

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I collaboratori di giustizia sono concordi: Antonio Marra era il consigliori di più cosche di ‘Ndrangheta. Lo era dei Libri, dei Condello, dei Serraino, dei Rugolino, dei Tegano, dei Chirico ed ovviamente anche dei De Stefano. I giudici lo hanno condannato a 17 anni di reclusione ritenendolo un appartenente all’associazione mafiosa e non solo un personaggio contiguo. Secondo l’accusa, egli sarebbe stato determinante non solo per le strategie che miravano a vanificare l’azione di contrasto da parte delle forze dell’ordine, ma anche per indirizzare le strategie criminali.

Ci sarebbe stato un rapporto definito di stretta complicità tra Marra e le famiglie mafiose di Reggio Calabria, scrive il presidente Silvia Capone, «in una posizione trasversale che prescindeva dagli schieramenti che erano stati della fase storica delle guerre di mafia». Un giano bifronte, lo definisce il Tribunale. Un soggetto deputato a carpire notizie dalla criminalità organizzata così da poterle svelare agli appartenenti alle forze dell’ordine ed ai servizi segreti, sì da agevolare delle operazioni che solo apparentemente segnavano un successo dello Stato.

Dalla sentenza emerge, ad esempio, come l’avvocato avesse un rapporto di tale vicinanza con il boss Giovanni Rugolino, al punto da ospitarlo – nel periodo della sua latitanza – all’interno dei locali della Emmepi, azienda di cui disponeva.

Ma non solo. Marra sarebbe stato il “consigliori” di alcune tra le più importanti cosche reggine, come viene fuori da una intercettazione con Francesco Condello, rampollo della famiglia di Archi. Questi deve far fronte all’assenza contemporanea dei fratelli, successori del boss Pasquale alias “Il Supremo”, avvertendo il peso della reggenza. Commette un errore indicando l’avvocato Marra come colui che può cambiare un assegno. La reazione del legale è veemente: «Io e i tuoi fratelli fino ad ora non ci ha scoperti mai nessuno. Sei venuto tu, un muccusu [Espressione dialettale, nel senso di: moccioso] di merda per farci scoprire quello che facciamo?»

Marra, secondo la ricostruzione dei giudici, sarebbe stato anche un ponte tra la criminalità organizzata e pezzi dello Stato, quale mediatore nello scambio tra cattura di latitanti e favori per detenuti. Antonio Marra, secondo quanto ricostruito dalla Procura reggina, avrebbe avuto anche un ruolo rilevante in ambito politico. Decisivi si rivelano i suoi rapporti di fortissima amicizia con Paolo Romeo. È Marra a tirare fuori la regola della proprietà transitiva: “se A è uguale a B, e B è uguale C, allora A è uguale a C. O no?”. Ma cosa significa? Nell’analisi di Marra, “A” sarebbero lui e Romeo. Se loro appoggiano l’amministrazione, ossia la lettera “B”, ed essa è fatta di uomini eletti dalla ‘Ndrangheta (lettera “C” dell’equazione), allora anche loro due sarebbero ‘ndrangheta e malaffare.

Poi, rivolgendosi a Romeo e intendendo con lui anche Giorgio De Stefano, afferma: «Non si muove foglia che voi non vogliate».

Tutto questo sarà raccontato nella quarta puntata del podcast, con ricostruzioni, intercettazioni originali e i contributi della giornalista di Repubblica, Alessia Candito e del cronista di LaCNews24, Pietro Comito.