Apprendo che dopo il mio video editoriale di domenica sulla burocrazia al comune di Vibo Valentia, sembra che qualche burocrate di palazzo Luigi Razza si sia agitato. La cosa, chiaramente, non ci preoccupa affatto. Evidentemente, le agitazioni sono determinate da qualche nervo scoperto. E di nervi scoperti nella burocrazia municipale nel capoluogo vibonese ce ne devono essere molti. Alla luce di ciò, dunque, ritengo necessario aggiungere qualche ulteriore riflessione a quanto già espresso nel mio video editoriale che comunque è allegato a questo pezzo.

 

In quell’editoriale, infatti, evidenziavo la protervia e la prepotenza di una certa burocrazia, in questo caso, quella di Vibo, la quale, invece di accogliere, ascoltare e sostenere la migliore imprenditoria del territorio, quella sana, quella che fa progredire il tessuto socio-economico delle comunità di appartenenza, preferisce, invece, fargli la guerra, boicottarla, tentare di metterla in difficoltà. Ciò non è un’opinione ma un fatto acclarato. Honoré de Balzac definì la burocrazia “un gigantesco macchinario azionato da pigmei”, chiaramente, è una definizione che non vale per tutta la burocrazia o per tutti i burocrati, ci mancherebbe altro, ma per una certa parte, sicuramente sì. Sono convinto che la guerra di una certa burocrazia alle aziende del territorio, spesso, è determinata dalla mancata soddisfazione di qualche “pretesa”, classica ciliegina sulla torta di qualsiasi mix corruttivo. A Vibo Valentia, dunque, va in scena la metafora della Calabria, di una regione e della sua pubblica amministrazione, che si rivela prevalentemente ostile verso le classi imprenditoriali sane della nostra terra.   I fattori sono molteplici. A parte la malizia, la corruzione, altri fattori sono certamente determinati da una burocrazia sostanzialmente incompetente e ignorante. E già Goethe aveva anticipato nella sua opera “I dolori del giovane Werther” che “l’ignoranza e l’incuria generano più confusione al mondo che la furbizia o la malizia, e comunque queste ultime sono meno frequenti delle prime”. A Vibo Valentia, la GdF sta conducendo un’indagine che dovrebbe far luce su alcuni atti della burocrazia veramente discutibili. L’indagine dovrà stabilire, appunto, se la burocrazia vibonese abbia assunto certe posizioni e determinato alcune scelte per incuria, ignoranza, furbizia o malizia.

 

 

Diverse testate locali si sono abbondonate in scivolose supposizioni, soprattutto, riguardo a dinamiche che ruotano intorno al settore dei pannelli pubblicitari. Nessuno, più di una delle nostre società del gruppo, si augura che sia fatta realmente chiarezza su certi atteggiamenti. La Pubbliemme, la società più importante del nostro gruppo, in questa città ha pagato il prezzo dell’assoluta mancanza di regole nel settore della pubblicità, a ciò si aggiunga, l’interpretazione zelante e spesso errate di norme e regolamenti esclusivamente a danno di alcune imprese rispetto ad altre. Ignoranza e malafede hanno generato veri e propri obbrobri sul piano istituzionale e sanzionatorio. E di poche ore fa il deposito delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, il quale che si è espresso entrando nel merito nonostante i reati contestati fossero ampiamente prescritti. Emerge un quadro fosco, fatto di errate interpretazioni delle norme del settore da parte di alcuni organi amministrativi e dirigenti municipali.

 

A 14 imprenditori del settore, tra i quali la Pubbliemme, infatti, veniva contestato il reato di abuso edilizio. In alcuni casi l’ente ha ordinato la rimozione e abbattuto le strutture. Il Tribunale ha sancito che “per l’installazione degli impianti pubblicitari non è necessario il permesso a costruire (…), e ancora, sempre nelle stesse motivazioni, il Tribunale afferma che “il provvedimento con il quale un Comune intima la rimozione coattiva di un impianto pubblicitario non rientra nella categoria degli atti in materia urbanistica ed edilizia” e quindi sono da ritenersi illegittime tutte le rimozioni degli impianti pubblicitari fatte dal Comune di Vibo negli scorsi anni contestando la mancanza del permesso a costruire. Le condotte contestate agli imputati dalla Procura, secondo il giudice “non hanno integrato le violazioni contestate” e da qui l’assoluzione con formula ampia “perché il fatto non sussiste”. (…). Quanto stabilito da un organo giurisdizionale dovrebbe indurre alcuni burocrati vibonesi ad essere meno agitati verso i giornalisti di lacnews24 e molto più prudenti nella stesura dei loro atti. E, forse, proprio dagli accertamenti dell’autorità giudiziaria, potrebbero venir fuori le giuste chiavi di lettura su certi comportamenti irresponsabili e di ostilità verso le imprese più sane del territorio vibonese. 

La cosiddetta direttiva del commissario Guetta, per esempio, è stata utilizzata, sotto campagna elettorale, come una spada di Damocle, anche per tentare di condizionare il sistema d’informazione. Gare d’appalto nel settore bandite, espletate e poi revocate. Il tutto senza un briciolo di spiegazione.  Tutto ciò, è avvenuto a Vibo Valentia. Tutto questo scempio ha degli atti in essere e, sotto quegli atti, ci sono delle firme, dei responsabili. Ci sono nomi e cognomi. Chissà, forse, è arrivato il momento che sul piano giudiziario si faccia chiarezza su tutto ciò. Una cosa è certa: la Pubbliemme, la più grande azienda del settore, ha pagato un conto salato per la protervia di certi comportamenti della Pubblica Amministrazione. Il colosso nazionale dell’outdoor con sede a Vibo Valentia ha avuto la guerra in casa. E mentre in Italia la società ha conquistato spazi importanti di mercato, a Vibo Valentia, nella propria patria, ha dovuto   combattere per 10 anni per l’affermazione di semplici diritti. Evidentemente, alle nostre latitudini, vale più che in altre aree del Paese, il detto: “nemo propheta in patria”. 

 

E infatti, una certa burocrazia ha pensato bene di fare la guerra a questa grande realtà imprenditoriale del territorio, mettendone a rischio l’immagine, rubando anni di lavoro, creando danni economici consistenti. Tutto ciò, con la complicità di una classe politica e alcuni amministratori pro tempore complici. Una lobby che chiaramente ha trovato il sostegno anche di una certa stampa, creando un mix micidiale tra una burocrazia collusa e una stampa al soldo della giornata. Una cordata la quale ha tentato e tenta ancora oggi, di affermare una lettura distorta della realtà dei fatti. E, d’altronde, basterebbe dare un’occhiata alle mogli, parenti e congiunti di diversi giornalisti che risultano assunti in alcune ditte appaltatrici del comune, per comprendere che, forse, qualche nesso esiste tra una certa deriva burocratico-amministrativa e come la si racconta sulla stampa. Forse, considerata la circostanza che da pochi mesi si è insediata una nuova amministrazione comunale, sarebbe necessaria una maggiore determinazione nell’affermazione di una linea di radicale cambiamento e discontinuità negli assetti della burocrazia. Il rischio che, l’attuale amministrazione comunale, passi da impotente spettatrice a complice di un sistema consolidato, in casi come questo, è molto alto.  

Pasquale Motta

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