L’ex presidente della Regione, Enza Bruno Bossio e il marito Nicola sono stati assolti nell’inchiesta Lande desolate. Ora l’ex governatore pretende le scuse dal suo partito ma dimentica di essere la prima causa del disastro politico democrat. E intanto sulle ceneri del Pd cerca di costruire il suo terzo polo (ASCOLTA L'AUDIO)
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Mario Oliverio è stato è stato assolto dalle accuse dell’inchiesta Lande desolate e con lui i coimputati Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo. Quando la giustizia fa chiarezza sul comportamento di un cittadino, è sempre un fatto importante. In questo caso, la giustizia è arrivata anche con una certa celerità, considerato i tempi biblici in cui languono gran parte dei processi penale di questo paese. Tuttavia, la reazione mediatica e l'uso politico che i protagonisti di questa vicenda intendono fare della sentenza, gli argomenti usati, lasciano perplessi e meritano una riflessione.
Uso strumentale dell'assoluzione
Il leit motiv di Oliverio, della Bruno Bossio, e dei suoi sostenitori, in queste ore, sostanzialmente, è il seguente: attendiamo scuse da parte del Pd e dei suoi dirigenti. Insomma, Mario Oliverio pretenderebbe che gli organismi dirigenti del Pd si cospargessero il capo di cenere per non averlo candidato. Facendo intendere, in sostanza, di essere stato abbandonato alla mercé della persecuzione ordita dalla magistratura e, in particolare, del Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri.La ricostruzione dei fatti alla base di queste richieste risulta alquanto fantasiosa. Facciamo un passo indietro. Proviamo a ricostruire la vicenda, innanzitutto, c'è da chiedersi: è credibile l’ipotesi che Mario Oliverio non sia stato candidato per l’inchiesta “Lande desolate”? No. Non è credibile.Capisco che essendo nuovamente alla vigilia delle elezioni ogni patacca è buona per essere commercializzata ad uso politico. E tuttavia, questa volta non sono passati 5 anni dalla scorsa competizione, ma appena 12 mesi, e per quanto la memoria corta sia un vizio tutto italiano, il tentativo di rilettura politica delle vicende giudiziarie da parte di Oliverio e dai suoi amici in queste ultime ore, è così strumentale al punto che lo si potrebbe collocare al confine con la sfrontatezza.
Mario e Nicola innamorati del potere
A rileggere per bene la dinamica politica dei mesi precedenti alle elezioni, le circostanze oggettive smentiscono una tale ricostruzione. Oliverio e Adamo sono stati travolti dall’inconsistenza amministrativa di quel governo, ai quali si deve aggiungere la valanga di errori politici di cui si sono resi responsabili, in particolare Nicola Adamo, eminenza grigia dei 5 anni della presidenza Oliverio. Anni di governo consumati prevalentemente al servizio del loro asse di potere e dei loro satelliti. Tutto ciò, venendo meno, fin da subito, alla possibilità di mettere in campo una poderosa azione di riforma della obsoleta ed elefantiaca burocrazia regionale, preferendo, il compromesso con singoli ed eterni direttori generali, piuttosto che percorrere la strada dello snellimento di tutta l’architettura istituzionale della regione Calabria. Risultato: la conservazione ha avuto la meglio sull’innovazione.
Gestione politica tragica
Un bel risultato per politici che pomposamente si definiscono quotidianamente riformisti. Alla disastrosa gestione amministrativa corrispose una gestione politica altrettanto tragica che, sostanzialmente, aveva azzerato e cancellato gli organismi politici del PD, impedendo così, ogni processo di rinnovamento e di selezione di nuovi gruppi dirigenti. A partire dal rinnovo della segreteria regionale, con Ernesto Magorno, mantenuto in sella, perché, in quel momento, funzionale al mantenimento dell’immobilismo del Pd, che in una condizione diversa, invece, avrebbe potuto “disturbare” il grande manovratore ma, soprattutto, per garantire la seconda legislatura alla Camera alla parlamentare Enza Bruno Bossio.
La drammatica assemblea di Rende
Il crocevia politico e amministrativo del potere nei 5 anni di governo del centro sinistra, dunque, portava esclusivamente e irresponsabilmente nelle sagrestie correntizie di Oliverio e Adamo, sia sul piano del potere amministrativo che su quello politico.Un tale contesto e una tale concezione della politica, inevitabilmente, produsse una crescente ostilità sia sul fronte dell’opinione pubblica, sia sul fronte degli equilibri interni di partito. Una ostilità che, alla fine, si materializzò, nella drammatica assemblea del Pd di Rende. In un’altra epoca si sarebbe chiamata: l’ora della resa dei conti era arrivata. In quella riunione, infatti, tutte le altre componenti del PD calabrese, si pronunciarono contro ogni ipotesi di ricandidatura dell’ex Presidente della Giunta regionale. E, d’altronde, coloro che volessero ricostruire la vicenda, possono rileggersi le cronache di quel giorno. Risulta strano, dunque, che oggi Mario Oliverio vada a ricercare negli assetti del Pd nazionale, i capri espiatori di quella defenestrazione tutta calabrese.
Il terzo polo sulle ceneri del Pd
E altrettanto fantasioso mettere in relazione quella defenestrazione con l’inchiesta “Lande desolate”. Una tale impostazione, dunque, potrebbe essere funzionale ad un solo obiettivo: costruire un polo contro il Pd ufficiale. Sempre in un’altra epoca e con un altro linguaggio una cosa del genere sarebbe stata liquidata come avventurismo politico.Ma torniamo alla famosa assemblea Pd di Rende.
I ponti di Oddati fatti saltare
Nicola Oddati, delegato di Zingaretti, provò a costruire un ponte verso Oliverio e gli oliveriani, premurandosi di offrire all’ex governatore, una onorevole via d’uscita e una straordinaria opzione politica: quello di scegliere il candidato Presidente, ovvero, il suo successore alla guida del centrosinistra. Un’opzione, tra l’altro, che il Pd aveva già sperimentato per l’ex presidente della Basilicata Marcello Pittella. Se Oliverio avesse accettato quella opzione, sarebbe rimasto nel gioco politico da protagonista. E, invece, Oliverio rispose niet, secondo alcuni, su indicazione proprio di Adamo. La sentenza di assoluzione del processo “Lande Desolate”, dunque, molto probabilmente è stata una straordinaria opportunità per radicalizzare lo scontro e per dare vigore mediatico ad una strategia forse approntata da tempo. Da mesi, infatti, si susseguono le riunioni presso la sede della fondazione di Mario Oliverio con l’obiettivo di dare vita ad un terzo polo.
Campagna acquisti
A uno degli ultimi incontri, un po’ prima di Natale, oltre a Oliverio e Adamo, pare sia stato avvistato anche il consigliere regionale Giuseppe Aieta. Obiettivo: aggregare e mettere insieme i malumori, i dissensi e i mal di pancia che nell’universo democrat covano da anni e sono diffusi nel territorio regionale. Il paradosso è che tale disagio, altro non è, che la diretta conseguenza della cattiva gestione del partito proprio di coloro che, oggi se ne vorrebbero avvantaggiare in chiave anti Pd. E così gli aguzzini che hanno soffocato qualsiasi anelito di rinnovamento e di ricambio della classe dirigente, oggi si candidano a vendicare le loro stesse vittime. Un’opera d’arte sul piano tattico, nella quale si intravede l’abile mano di Nicola Adamo.
Cinica disonestà intellettuale
Mario Oliverio, dunque, sarebbe pronto a costruire una sua candidatura puntando a sorpassare il Pd, magari con una campagna tutta orientata a recitare il ruolo di vittima di Gratteri e del giustizialismo del Pd. Una operazione di cinica disonestà intellettuale, considerato che, Nicola Oddati, in più occasioni pubbliche, si è sempre pronunciato senza ambiguità sulla vicenda giudiziaria che lo aveva investito ritenendolo innocente.
Le trame di Adamo
Sono in molti però a scommettere che nei piani di Adamo ci sia tutt’altro che la candidatura di Oliverio, ma piuttosto, tutta questa architettura sarebbe funzionale, alle strategie negoziatrici di Nicola Adamo, il quale sarebbe più preoccupato di perpetuare la specie, considerato che la consorte si avvia a terminare l’esperienza parlamentare, piuttosto che affermare un nuovo polo di sinistra. E tutto ciò, con buona pace di Luigi Guglielmelli, il quale continua a credere di essere il candidato espressione del cerchio magico presilano. Ma questa è un’altra storia di cui vi daremo conto un’altra volta. Come definire le amnesie politiche di Oliverio? Potremmo mutuare il titolo di un bel romanzo di Paolo Giordano per rispondere a questa domanda: l'ingratitudine degli ex numeri uno.
Le "statue di sale" della politica calabrese
In un quadro di difficoltà generale della Calabria e del paese, assistere all’ennesimo tentativo disperato di autoconservazione da parte di coloro che, Walter Veltroni, non esitò a definire le statue di sale della sinistra calabrese, è desolante. Una manifestazione di bulimia di potere immorale.Utilizzare poi come argomento di lotta politica un’inesistente persecuzione giudiziaria e un’altrettanta inesistente persecuzione politica per ricavarne un vantaggio, nella rincorsa della riconquista del potere a tutti i costi, per un uomo che è stato sulla scena per oltre quarant’anni, è veramente penoso.
Processo lampo per l'ex governatore
Il vittimismo per la disavventura giudiziaria è altrettanto forzato, mi permetto solo di ricordare allo smemorato Oliverio, che la sua vicenda è arrivata a sentenza dopo 24 mesi. Un record di rapidità, considerato i tempi della giustizia di casa nostra. Altri indagati eccellenti in altre inchieste, tra cui la stessa indagine su Rimborsopoli, dopo 5 anni non mi pare abbiano avuto la stessa sorte. E, quasi tutti gli imputati, sono ancora in attesa di ricevere un giusto processo.
Garantismo a corrente alternata
È bene ricordare che, proprio in quella circostanza, non si sono intravisti affatto i campioni di garantismo che sono poi venuti fuori nella vicenda che ha riguardato l’ex presidente della Regione, il quale ebbe una reazione scomposta verso i magistrati che condussero l'inchiesta. Nessuna indignazione garantista si è levò contro Oliverio, allor quando, il “perseguitato” di oggi, liquidò la sua prima giunta sulla base di un semplice avviso di garanzia. Qualcuno ricorderà come rotolarono le teste del Presidente del consiglio regionale Antonio Scalzo, del suo vice presidente Enzo Ciconte e dell'assessore regionale al lavoro Carlo Guccione, tutti dello stesso partito dell’ex governatore.
Quando era il primo a tagliare teste
Teste decapitate con una rapidità, che avrebbero fatto impressione finanche a Robespierre, il quale, nella decapitazione e con i processi sommari, pare avesse una certa dimestichezza. Oggi Oliverio pretende una lettera di scuse da parte del suo partito, quella stessa lettera che lui, invece, non scrisse mai al suo vice presidente del Consiglio Francesco D’Agostino, allorquando, assolto in una inchiesta che lo aveva coinvolto e per la quale era stato invitato alle dimissioni, non ebbe mai la soddisfazione di vedersi restituire l’onore politico.
Opportunismo politico
Insomma per Oliverio e la sua armata, il garantismo vale un tanto al chilo, a seconda dell’appartenenza di corrente dell’imputato. È appena il caso di ricordare, infatti, la dichiarazione che accompagnò la nomina della sua giunta dopo rimborsopoli. Una perfetta miscela di ipocrisia e cinico opportunismo politico, condito dal politichese da grigio funzionario del PCUS sovietico. Queste le parole usate in quella circostanza: “Sarebbe ingeneroso ed ingiusto che gli effetti di una indagine rivolta al passato si scaricassero sulle responsabilità dell’attuale Consiglio Regionale ed offuscassero il necessario progetto di cambiamento per dare un futuro alla Calabria» E aggiunse: «È questa una linea di demarcazione non dettata dai tempi e dal merito delle indagini della Magistratura, verso cui ripongo rispetto e piena fiducia, ma una autonoma scelta politica di cui mi assumo la piena responsabilità». Peccato che la stessa responsabilità politica Oliverio, oggi, non la riconosca a quei dirigenti del suo partito, i quali ritennero, forse a ragione, di non ricandidarlo.
La fuga politica da San Giovanni in Fiore
E, d’altronde, il comportamento e l’etica politica di Oliverio verso il partito che lo ha investito per decenni dei più prestigiosi incarichi istituzionali, si è manifestata nel corso delle ultime competizioni comunali del suo paese, San Giovanni in Fiore, alle primarie, aveva indicato un candidato, il quale, è stato sconfitto. A quel punto, Mario Oliverio, ha pensato bene di abbandonare il campo e, addirittura, ai suoi uomini ha dato indicazione di votare un candidato di centrodestra. Risultato: San Giovanni in Fiore, patria del comunismo oliveriano, la cosiddetta Stalingrado della Sila, grazie alla lealtà e alla responsabilità di Mario Oliverio, è stata espugnata dalla destra, anzi, umiliata, considerato che il candidato del Pd, non è arrivato neanche al ballottaggio. Clamoroso. Magari sarebbe stato doveroso da parte di Oliverio chiedere scusa per questa bancarotta etica e morale che ha coinvolto finanche il paese di cui 30 anni prima era stato Sindaco. Macché. La filosofia è sempre la stessa: la partita si gioca solo se in campo c’è lui, diversamente, muoia Sansone con tutti i filistei. Insomma Trump, a Oliverio gli fa un baffo.
Problema etico
Mi scuserete l’autocitazione, ma già in occasione dell’inchiesta che coinvolse Oliverio e company, ebbi modo di scrivere che il problema di Adamo, Oliverio e la Bruno Bossio, non era di tipo giudiziario, ma di tipo squisitamente politico. La deriva morale con il quale certi atteggiamenti hanno esposto l’intero partito della sinistra calabrese, non è un problema di tipo giudiziario, ma è conseguenza dell’inversione del paradigma dei valori tradizionali legati alla militanza di un partito riformista e progressista. Il resto è fuffa. Anche la disquisizione sul garantismo/giustizialismo, seppur problema serio e da affrontare, in mano a questo profilo di dirigenti, perde di credibilità teorica. E, infatti, la reazione al provvedimento della magistratura che lo coinvolse fu violenta, al punto che i dirigenti nazionali del Pd e degli stessi gruppi parlamentari, furono costretti a prenderne le distanze.
L'avevamo detto...
Concludo con un breve estratto di quello che scrissi in occasione proprio della vicenda giudiziaria che coinvolse Oliverio. “(..) molto probabilmente il profilo penale di questa indagine è destinato a sgonfiarsi, almeno per quanto riguarda la posizione del Governatore. Gli atti dell’inchiesta ripropongono, invece, una questione politica, della quale più volte abbiamo scritto e parlato: la qualità e la deriva di una classe dirigente che da troppo tempo sta condizionando il futuro del centro sinistra in questa regione. È questa la grande e drammatica questione che il Pd ha davanti. La grave responsabilità di Mario Oliverio sta tutta nella conduzione e gestione del potere al di fuori dalle sedi deputate. È paradossale, infatti, che una sorta di cerchio magico al di fuori delle sedi istituzionali e politiche, operi e intervenga attraverso anche relazioni pericolose, decidendo come e quando attivare risorse pubbliche attraverso incontri, messaggi, telefonate. L’andazzo di questa Giunta regionale, dunque, è discutibile, al di là delle inchieste. La Giunta regionale è stata espropriata e commissariata da un pezzo di corrente interna del Pd. La politica e i consiglieri regionali relegati dentro un Consiglio Regionale esautorato e svuotato dalla propria funzione. La Giunta ridotta ad un gruppo di tecnici senza nessuna autonomia ed autorevolezza di natura politica. L’accorpamento di quasi tutte le deleghe in capo al Presidente (…)”.
Il Pd ritrovi il coraggio e dica basta
Era il 20 dicembre del 2018 quando scrivevo queste cose. Due anni dopo, i protagonisti, sempre gli stessi, ricominciano. Il nodo da sciogliere nel Pd sta tutto qua. Se i dirigenti troveranno il coraggio di sciogliere e frantumare questo convitato di pietra, senza frasi condizionare da pistole alla tempia che spesso risultano essere scariche, forse qualche speranza di invertire gli eventi potrebbe esserci. Diversamente il Pd calabrese sarà abbandonato all’oblio di schermaglie e lotte per il potere lontane anni luce dai problemi dei cittadini comuni.