Sono tantissimi i calabresi che per necessità o scelta decidono di andare via. Con loro va via anche la speranza e il desiderio di costruire un futuro. E forse quello che ora manca di più ora è un supplemento d’anima: la capacità di far credere ai giovani che restare significa esistere e non più resistere
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La partenza è la madre di due speranze: una speranza persa, quella di costruire un futuro nella propria terra; una speranza appena nata, quella di costruire un futuro altrove. Se c’è un dato che mi ha colpito nel 2024 è quello dello spopolamento della Calabria, che in vent’anni ha perso 162mila giovani e che entro il 2050 perderà l’equivalente delle tre città più importanti. Ma verrò dopo su questi numeri. Al dato generale sulla diminuzione della natalità si sommano quelli sui calabresi, tantissimi, che per necessità o scelta decidono di andare via. Migliaia e migliaia di speranze perse e altrettante speranze tutte da verificare. Una realtà incontrata nella lunga battaglia contro una legge sbagliata, quella sull’Autonomia differenziata, che LaC Network ha condotto con forza e convinzione, partendo da ragioni drammatiche come quella dell’inesorabile spopolamento di alcune realtà meridionali.
Come tanti, non ho mai perso la speranza di un cambio di rotta della mia terra: mi piace credere che prima o poi le enormi potenzialità spazzeranno via gli enormi ostacoli disseminati sulla strada da chi vuole che tutto cambi perché nulla cambi. E in questo fine 2024, mentre i suoni dei concertoni in piazza ci portano allegria e un pizzico di euforia, mentre l’ottimismo un po’ bambino delle feste ci porta a credere che qualcosa cambierà, anche a me sembrerebbe tutto possibile.
Eppure basta una telefonata con un amico che, come me, per motivi professionali e personali è stato costretto anni fa a lasciare la Calabria, per riportarmi alla realtà. Non è una realtà di suoni, festa e musica. È una realtà di bollette da pagare, di figli da mandare a scuola, di affitti che nelle realtà più dinamiche sono sempre più cari. L’amico mi racconta che i suoi genitori anziani si sono trasferiti al Nord per dare una mano con i nipoti e, soprattutto, perché in Calabria non avevano più motivi per restare. Così fanno in tanti, mi spiega: i giovani, anche trentenni-quarantenni, vanno altrove per lavorare, per affermarsi professionalmente. I genitori in pensione li seguono, le case giù restano vuote, spesso non si riescono né a vendere né ad affittare. Abitazioni che iniziano a restare vuote anche durante le feste, perché ormai non c’è più nessuno da cui tornare.
Una volta nelle case spuntavano dal nulla i tondini di ferro per le armature di cemento, per i piani sopraelevati da destinare ai figli o alle figlie. Oggi restano solo scheletri incompiuti.
In quelle case una volta restava il cuore, accanto ai genitori, ai nonni, agli zii e ai cugini. Oggi il cuore ciascuno cerca di portarselo nel trolley.
Una volta si partiva con la valigia di cartone, oggi si parte con il computer.
Una volta si partiva con il sogno di tornare a casa propria, oggi il sogno per tanti è trovare una casa altrove, lontano, dove i servizi funzionano, l’acqua arriva a tutte le ore e al lavoro ci puoi andare con il mezzo pubblico. E se mancano i tramonti infuocati, se manca la bellezza struggente del paesaggio e il calore della gente, ce ne si può fare una ragione, trovando altri tramonti e altra gente.
I segnali d’allarme erano arrivati da tempo, il crollo delle iscrizioni universitarie (credo con l’eccezione dell’Unical) faceva intendere che la Calabria era sempre meno un paese per giovani. Poi sono arrivati i dati, impietosi quanto veri.
La Calabria è destinata a perdere nei prossimi 56 anni circa 806mila abitanti (elaborazione Svimez su dati Istat) e questo significa che nel 2080 i residenti in questa regione saranno poco più di un milione. Se guardiamo un po’ più vicino a noi, al 2050, le previsioni ci dicono che la Calabria avrà 368mila abitanti in meno, vale a dire l’equivalente di una città con gli abitanti di Reggio, Catanzaro e l’area di Cosenza-Rende-Castrolibero. Il dato è demografico, la natalità è in forte calo ovunque e la popolazione invecchia, ma in Calabria come in altre aree del Sud si vive una fuga impressionante di giovani. Come ha scritto in un significativo articolo il nostro Pablo Petrasso, “La Calabria ha perso 162mila giovani in 20 anni, quasi un terzo (per la precisione il 32,4%) dei 503mila residenti di età compresa tra 18 e 34 anni nel 2002. Ora sono poco più di 340mila”.
Questi numeri ci dicono molto di più: quando i paesi e le città si spopolano se ne va via anche la speranza, se ne va via il desiderio di costruire un futuro. E mi vengono in mente sempre più spesso due grandi calabresi scomparsi di cui ho avuto l’onore di essere amico, il prefetto Luigi De Sena (già vicecapo della Polizia e poi senatore, che ha risollevato Reggio negli anni bui) e Mario Congiusta, simbolo della lotta alla mafia e papà di Gianluca, vittima innocente della ‘ndrangheta. Entrambi a modo proprio sostenevano che la Calabria fosse a un punto di non ritorno e che fosse opportuno non illudersi più di tanto. Che la cosa più giusta da fare fosse impegnarsi in una grande Resistenza per chi aveva voglia di restare o non aveva possibilità di andare via, ma che non fosse saggio trattenere i giovani che avevano il desiderio di costruire altrove il proprio futuro. Su questo punto ho avuto accese discussioni con loro, ritenevo che la Resistenza (mi riferisco alla Resistenza delle persone perbene contro mafia, corruzione, sciatteria e indolenza) in Calabria prima o poi potesse portare a un cambiamento vero. L’ho pensato sempre, tant’è che a fine 2023 e per tutto il 2024 ho scelto di impegnarmi professionalmente in Calabria – facendo su e giù e macinando chilometri – nonostante la mia vita professionale e personale fosse altrove. Eppure i calabresi che conosco, tanti giovani che ho avuto modo di frequentare, mi spiegano che non basta essere nati in una delle terre più belle del mondo, circondati da gente splendida, per essere convinti a restare. Serve di più, un di più che noi non siamo riusciti a dare.
Certo, servono, i concerti di Capodanno, servono gli eventi, servono il marketing territoriale e la buona ospitalità, servono gli investimenti e le infrastrutture. Ma ciò che manca di più è un supplemento d’anima, la capacità di far credere ai giovani che restare significa esistere e non più resistere.
Noi paghiamo profumatamente i divi di Hollywood un po’ attempati per dire in un italiano stentato quanto è bella la Calabria. Poi gli stessi divi pagano profumatamente per passare le vacanze in Puglia o in Sicilia. Qualcosa che non funziona c’è, ammetterlo è un primo passo. Non è vero che sono tutti incapaci, sporchi e marci. Esiste una politica – a destra come a sinistra – capace di una programmazione a lungo termine, di essere consapevole dei limiti e delle potenzialità, della necessità di una pulizia attenta delle mele marce e un supporto attivo a chi ha voglia e capacità. Siamo in grado di fare tutto questo? Sinceramente non ho una risposta.
Non credo che le classifiche di vivibilità che relegano le città calabresi agli ultimi posti siano giuste, credo che sui calabresi sia stato costruito (soprattutto a livello mediatico) un pregiudizio infame e ingiusto. Ma ritengo altrettanto sbagliato nascondere i limiti e le ingiustizie che noi stessi produciamo sotto il tappeto del mare azzurro, del sole caldo e della natura meravigliosa.
Ne approfitto per augurare il meglio per l’anno che verrà e gli anni a venire ai calabresi, a chi resiste, a chi resta e non ha bisogno di resistere, a chi è stato costretto ad andare via, a chi per non sentire troppo male ha messo il cuore nel trolley e a chi come me lo ha lasciato in Calabria e qualche volta è costretto a caricarlo in auto macinando migliaia di chilometri su e giù. E ovviamente auguro il meglio alla grande squadra dei giornalisti di LaC Network con la quale ho vissuto una grande esperienza che mi ha arricchito umanamente e professionalmente e che porterò sempre con me.
Auguro il meglio a chi ha ancora voglia di immaginare una Calabria dove valga la pena di restare e dove si abbia voglia di tornare.