L'Italia rischia la bocciatura del suo Pnrr, il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, e di perdere l'ultimo treno per salvarsi (metafora incomprensibile, a Sud, questa del treno, ma se vanno su internet, i terroni possono vedere com'è fatto).

L'Italia, per capirsi, rischia di sparire come Paese unico, il che per il Nord sarebbe una tragedia, perché perderebbe il mercato interno esclusivo e la possibilità di continuare a svuotare la cassa comune con la scusa della “locomotiva” (altra metafora senza più fondamento, se mai ne ha avuto, perché la locomotiva padana, pur continuando a bruciare il carburante di tutti, non solo è ferma in stazione da almeno vent'anni, ma va addirittura indietro, tanto che tutte le regioni settentrionali sprofondano ormai di decine di posti nella classifica delle migliori in Europa: la Lombardia, dal 2000 al 2017, è scesa dal 17° al 42° posto, per reddito pro capite; l’Emilia-Romagna dal 25° al 54°; il Veneto dal 36° al 70°; il Piemonte dal 40° al 90°, il che ne fa la regione più povera del Nord); per il Sud, invece, il fallimento dell'Italia unita potrebbe rivelarsi una fortuna di portata storica, dopo un primo periodo di pesanti difficoltà, perché in una “Europa dei popoli” e non “delle nazioni”, i soldi di Bruxelles resterebbero nel Mezzogiorno e non rimbalzerebbero dalle regioni più povere alle più ricche, per la complicità dei governi centrali con la prepotenza padana e la vergognosa sudditanza di gran parte della classe dirigente meridionale, non solo politica: quasi tutto lo staff della direzione del Corriere della sera, per dire, è del Sud.

Tutto è ormai già quasi del tutto compromesso. Ma si può recuperare, se l'Italia trovasse uno spirito unitario e la consapevolezza che un Paese con buoni treni e buone strade ovunque sarebbe un vantaggio per tutti gli italiani (stavo per scrivere “ri-trovasse uno spirito unitario”, poi mi son detto: e quando lo hai visto? In effetti, è accaduto in due brevi periodi in 160 anni di unità “a forza”: nei primissimi anni del Novecento, grazie all'opera, principalmente, di Francesco Saverio Nitti, e nel secondo dopoguerra. Ovvero, i pochi anni in cui la Questione meridionale è diventata questione nazionale e il Paese ha investito, con convinzione, anche se poco di più, a Sud. E sono stati i periodi di maggior crescita economica nella nostra storia, tanto che si parlò di “miracolo italiano”).

E perché l'Italia rischia la bocciatura del suo Pnrr: non era già stato approvato da Bruxelles? Sì, i soldi del Recovery Fund, però, l'Europa non li ha “dati”, ma “promessi”: vuol dire che se li spendi per le finalità e nei modi che hanno indotto l'Unione ad abbandonare la politica dell'Austerità, per il suo opposto (una sorta di “Whatever it takes: quello che ci vuole ci vuole” alla Mario Draghi), allora te li danno, se no, no.

E l'Italia non sta facendo quello che ha chiesto Bruxelles, ma il contrario. Che il Pnrr abbia avuto un ok di massima non vuol dire che ci hanno dato le chiavi della cassaforte. Per far partire l'intero pacchetto del Recovery Fund o Next Generation EU, bisognava dar segnali immediati e forti e, anche se non lo diranno mai apertamente, i Pnrr arrivati, se proprio non erano impresentabili, sono stati fatti passare, tanto valeva solo come iscrizione alla corsa: i soldi poi li danno a rate e le quelle successive arrivano soltanto se le precedenti sono impiegate correttamente, se no si chiude il rubinetto. Basterebbe confrontare il Pnrr spagnolo con quello italiano, per dire, per vedere che gli iberici hanno puntato sullo sviluppo delle aree più svantaggiate (come chiede Bruxelles, che mira a ridurre le disuguaglianze, fonte di storture economiche e tensioni sociali) e noi no: la ripartizione dei fondi, secondo i criteri adottati dall'Europa (in proporzione al numero di abitanti, di disoccupati e all'inverso del reddito pro capite) destinerebbe il 70 per cento della somma, intorno ai 200 miliardi, al Mezzogiorno e il resto, 30 per cento, al Centro-Nord. La differenza, non misura uno squilibrio in favore del Sud, ma il ritardo di treni, infrastrutture, connessioni, servizi, diritti a cui la politica “unitaria” italiana ha condannato il Meridione; infatti, senza l'abbandono ultrasecolare che fa del Mezzogiorno la più vasta area continentale senza infrastrutture, reddito e disoccupazione di livello europeo, all'Italia sarebbe finita si e no la metà di quei 200 miliardi. Quei soldi arrivano per il Sud! Gli unici a fingere di non saperlo, non capirlo, sono, nel complice silenzio degli esponenti meridionali, i poteri (padani) di cui il governo Draghi è espressione. Il Pnrr riduce quel 70 per cento al 40: non 145 miliardi, ma 82, e con il trucco, perché è il 40 per cento del totale meno somme “non territorializzabili”, ovvero che non si sa dove vengono spese (falso, si sa: sta scritto nel Pnrr: al Nord); e a quel 40 per cento non di tutto, ma di una parte, si giunge contando anche altri fondi (Riact EU, FSC) che sono già stanziati per il Sud e non c'entrano niente con il Pnrr; alla fine, se si contano quanti miliardi veri sono segnati per il Mezzogiorno nel Pnrr, se ne trovano 22, non 82, ovvero non il 40, pur se finto, ma il 10 per cento. Una truffa di Stato.

Ma neppure quei fondi il Sud rischia di poter usare, per via del sistema attuale di distribuzione delle risorse pubbliche, quello della “spesa storica” (più soldi ai ricchi, meno ai poveri) e per li soldi sottratte con numeri e carte false ai Comuni meridionali, dal 2015, dalla Commissione allora presieduta dall'attuale (purtroppo) ministro al sottosviluppo del Sud e ai privilegi del Nord, Giancarlo Giorgetti, i Comuni del Mezzogiorno non hanno specialisti e uffici in grado di fare i progetti per il Pnrr. Caserta, per dire, in rapporto agli abitanti, dovrebbe avere 650 dipendenti, ne ha 215. Bisognerebbe fare subito le assunzioni mancanti; ne sono state chieste almeno cinquemila, il governo ne ha concesse 2.800 (e, per questo, il ministro competente, Renato Brunetta, si è scusato con i veneti!), di cui, però, per i bassi compensi offerti e a tempo determinato, ne sono arrivate solo 800. Una presa in giro.

Ma se l'Europa, nel suddividere le risorse fra 27 Paesi, dà circa 200 miliardi su 800 all'Italia, è perché la ripresa del nostro Paese, a partire dal Sud, è la chiave di volta dell'intero progetto, il che spiega l'attenzione di Bruxelles su come spenderemo i soldi. I primi 25 miliardi sono arrivati e peggio di come li stiamo spendendo non si poteva fare. Per esempio, l'Italia deve garantire almeno 33 posti in asilo ogni 100 bambini; e gli asili sono quasi tutti al Nord; eppure, i soldi del Pnrr vengono regalati al Nord, per fare altri asili (Reggio Emilia ne ha venti volte più di Reggio Calabria), e rubati al Sud, con trucchi che avrebbero dovuto portare i meridionali a tirar giù dalle prefetture i rappresentanti del governo, i ministri del Sud a dimettersi, i parlamentari terroni a sfiduciare Draghi; i soldi del React-Eu per soccorrere i disoccupati e incrementare il lavoro, con dei criteri truffaldini al 90 per cento favorevoli al Nord, andranno nelle regioni con il più alto numero di occupati, e tolti a chi è alla disperazione.

Cosa sta avvenendo? Il governo ladro concentra soldi, futuro, possibilità solo nelle regioni più ricche, derubando le più povere, a cui lasciare debiti, sottosviluppo, disoccupazione. È quello che si fa con le aziende, le banche fallite: si crea una nuova società, una New Company, in cui si mette tutto quello che vale qualcosa e si scarica il peggio in un'altra società, la Bad Company, che viene abbandonata al suo destino. È quello che stanno facendo con il Sud: dopo averlo spolpato, buttano la buccia.

Non saprete queste cose dai telegiornali di Stato, dai grandi giornali (e, salvo rarissime eccezioni, manco dai piccoli), ma sentirete tantissimo parlare dei furbetti del reddito di cittadinanza, con colate d'indignazione che manco quelle laviche dell'Etna. Eppure, il furto di Stato del Pnrr vale 200 miliardi, i falsi poveri del reddito di cittadinanza hanno rubato una quarantina di milioni, somma cinquemila volte inferiore.

La Commissione europea per il Pnrr, però, ha i riflettori accesi su come vengono spesi i soldi del Recovery Fund e soprattutto il Pnrr italiano, perché il più corposo di tutti (a noi, pro-capite, è stato riconosciuto più del doppio di quanto si dà agli altri europei. E non perché stiamo simpatici). A fare le pulci e a preoccuparsi particolarmente del destino del Mezzogiorno, a Bruxelles, non sono i parlamentari italiani, salvo uno sparuto ma cazzutissimo manipolo che sta facendo un gran lavoro, ma quelli nord-europei, perché il destino delle loto economie è condizionato dalla ripresa italiana. Da fonti dirette, sappiamo che quanto sta avvenendo (e abbiamo citato solo pochi esempi) inquieta molto i commissari, che stanno acquisendo dati, pareri. E si badi che di testi di PNRR italiano ne esistono ben tre: uno è quello fatto approvare dal Parlamento, che poi è stato modificato e inviato a Bruxelles (quindi le due versioni non coincidono); e una terza variante è quella pubblicata sul sito governativo (provate a farlo con un verbale di condominio).

Ha molto impressionato l'audizione fatta a Bruxelles, grazie al parlamentare sannita Piernicola Pedicini (tocca citarlo quasi sempre, ormai), da Davide Carlucci, sindaco di Acquaviva delle Fonti, rappresentante dei Comuni meridionali riuniti nell'associazione Recovery Sud, per difendere i loro diritti violati dal PNRR di Draghi. Erano presenti i portavoce (non italiani) dei due gruppi più numerosi al parlamento di Strasburgo: popolari e socialdemocratici, intervenuti a sostegno delle ragioni dei sindaci meridionali.

Il governo rischia di spezzare l'Italia e perdere i soldi del Pnrr, per assecondare l'egoismo padano. Se lo fa apposta (New Company per mettersi ai piedi della Baviera; Bad Company da far affondare in Mediterraneo), è un suicidio, ma stanno sbagliando i conti, nel medio e lungo termine; se lo fanno per incapacità di opporsi alle pretese dei più ricchi, allora si stanno dando con la zappa sui piedi, perché, se l'Italia, visto com'è fatto il PNRR, perdesse i soldi del Recovery Fund, il Nord perderebbe tutto; il Sud, quasi niente, perché già gli hanno lasciato poco (altro che «Comunque tanto» della ministra Carfagna e cori consenzienti) e senza le strutture per progettare e spendere, manco quel poco potrà essere utile.

Un disastro annunciato. I greci dicevano che gli dei acciecano quelli che vogliono perdere (e io, come si dice, grazie a dio, sono ateo, ma soprattutto, il Sud che ha aperto gli occhi è sempre più largo).