Oggi più che mai abbiamo bisogno di una nuova narrazione, che non cancelli il dolore ma lo trasformi. Che parta dai volti, dalle storie, dai luoghi e dal coraggio di chi resta, di chi torna, di chi costruisce
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Pasqua è passaggio. È soglia, è ferita che si apre alla luce. In questa terra del profondo Sud, troppo spesso raccontata come marginale, la Pasqua può e deve diventare ponte. Un ponte verso una Calabria che non si rassegna, che non accetta più di essere periferia del mondo, ma che sceglie di essere protagonista della propria rinascita.
Certo, viviamo in un’epoca che lascerà un segno pesante per il futuro: lo spopolamento, le conseguenze dei mutamenti climatici, la fuga dei giovani, l’essere la regione più povera d’Italia.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di una nuova narrazione, che non cancelli il dolore ma lo trasformi. Che parta dai volti, dalle storie, dai luoghi e dal coraggio di chi resta, di chi torna, di chi costruisce. Perché chi costruisce in Calabria viene osteggiato, ostacolato perfino dalle stesse istituzioni, troppo spesso inadeguate e viziate dal pregiudizio.
È tempo di attraversare. E oltre questo ponte, c’è un futuro che ci somiglia. È tempo di percorrerlo. Cominciando il cammino con coraggio e determinazione. Superando gli ostacoli del malaffare, della mala politica, della corruzione, dei gravi ritardi in termini di crescita e sviluppo. Alla Calabria manca una visione, e manca in ogni settore una classe dirigente capace e competente, mentre modesti e mediocri bloccano ogni possibilità di cambiamento e di crescita. Nel frattempo avanza la corruzione che ha contagiato ogni angolo di questa terra, tra colpevoli silenzi e tante complicità.
Ma ci può essere d’aiuto il Signore di Leonida Repaci:
«Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15000 km quadrati di argilla verde con riflessi viola. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi.
Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione.
Quando, aperti gli occhi, poté abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente rasserenandosi, disse: “Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più sudore, ecco tutto. Utta a fa juornu c’a notti è fatta”. Una notte che già contiene l’albore del giorno».