Tattica? Sconsideratezza? Indifferenza? Paraculismo? Non so come dare un senso all’atarassia della politica calabrese rispetto a quanto sta accadendo. Prezzo del gas alle stelle, inflazione da incubo. Migliaia di imprese rischiano di chiudere perché non reggono i costi dell’energia. Tantissimi imprenditori sono obbligati a valutare lo stop, a fermare le macchine, ad abbattere i capi di bestiame, a chiudere le saracinesche. Le famiglie rischiano di inseguire i prodotti essenziali con costi alle stelle. Chi non arrivava a fine mese, ora non arriva neppure a metà mese. Ma questi argomenti sono stati eliminati chirurgicamente dalla campagna elettorale calabrese, come se quanto sta accadendo non ci riguardasse. Partiti e candidati si azzuffano su fatti secondari, ma si guardano bene dal toccare gli argomenti tabù di una sicurezza economica a forte rischio.

Gli economisti temono un massiccio ricorso alla cassa integrazione, gli analisti non escludono un “autunno caldo” con grandi tensioni sociali. L’ipotesi default non è qualcosa di impensabile. Chi, dopo tanta attesa, conta di vincere le elezioni già teme di dover adottare l’Agenda Draghi per i conti “da far tremare le vene”.

Scenario nero? L’Italia è un paese indebitato fino al collo e a un certo punto per coprire i costi degli ammortizzatori sociali, per sostenere gli imprenditori sull’orlo del crack, per calmierare i prezzi, potrà non essere nelle condizioni di fare nuovo debito.

E la Calabria che fa? Parlo della Calabria che attende sempre fondi, finanziamenti, soluzioni da Roma, che aspetta sempre che qualcuno risolva la situazione, che qualcuno si assuma la responsabilità delle cose che non facciamo noi.

In questa campagna elettorale si parla giustamente di sanità, giovani, Pnrr, agricoltura, turismo, immigrazione. Ma si dà per scontato che tutto sia possibile, che qualcuno risolverà il problema dei supermercati con gli scaffali inaccessibili, che qualcuno darà i soldi alle fabbriche per non soffocare, che alla fine la mucca Stato si farà mungere perché il latte è infinito.

Non è così. Quando un sistema entra in crisi profonda, a pagarne il prezzo sono innanzitutto gli anelli deboli.

In Calabria ci eccitiamo per la discussione sull’arrivo dei medici cubani: i nostri specialisti a seconda del momento sono tutti Dr House o tutti incapaci, le nostre strutture a seconda di come gira la polemica sono tutte Grey’s Anatomy oppure fatiscenti e infiltrate dal malaffare. La nostra agricoltura è al top quando conviene, all’anno zero quando chiediamo nuovi fondi. La nostra burocrazia è la migliore del mondo quando una pratica segue un iter normale, la peggiore d’Europa quando ce lo dicono le classifiche o entriamo nel tritacarne di una procedura. Gli asili nido? Non ce ne sono, eppure per ricordarci di presentare le domande per costruirne nuovi abbiamo dovuto ricorrere ai tempi supplementari.

La demagogia è di solito violenta e cieca, alimenta il populismo e il plebeismo, ma a volte si imbelletta di sorrisi, di selfie, di irresponsabilità. Dai vincitori presunti annunciati agli outsider, da chi chiede il voto utile a chi invoca la rottura, nessuno vuole guardare verso il baratro, tanto qualcuno (chi?) ci salverà. Meglio sorridere e comiziare, parlare di progetti che alla fine nessuno saprà o vorrà realizzare, di problemi che da trent’anni stanno lì e che qualcuno dopo il voto miracolosamente risolverà.

La Calabria è una delle regioni più penalizzate economicamente e socialmente, una crisi qui colpirebbe più che altrove. Centrodestra, centrosinistra, centro e alternativi, Fratelli d’Italia, Pd, Lega, Forza Italia, 5Stelle, i seguaci di Calenda e tutti gli altri hanno il dovere di pretendere che il futuro delle imprese e delle famiglie sia messo in sicurezza, che le risorse che ci sono siano utilizzate bene e in modo responsabile. Cosa fanno i nostri enti locali per “blindare” il futuro prossimo dei calabresi? Cosa fanno Regione, Comuni e Città metropolitane?

Che programmi hanno i candidati alla Camera e al Senato per evitare che le nostre attività produttive chiudano, che il lavoro sia messo a rischio, che l’inflazione si mangi i salari, che la Calabria venga ancora messa ai margini qualora le cose dovessero peggiorare?

Mi pare che al momento siano tutti lì a curare l’immagine e la dichiarazione, mentre ogni giorno la vita vera va da tutt’altra parte – e chi produce e lavora si accorge che l’allarme è a un livello alto. La politica vuole rimandare l’appuntamento con la realtà.

La Calabria che conviene ai politici è quella che vive di un’immagine riflessa, quella che vive di selfie: un selfie sull’orlo del precipizio.