In caso di separazione lo Stato dovrebbe restituire al Mezzogiorno circa 850 miliardi di euro. Cifra che corrisponde anche alla “quota” del debito pubblico italiano (2.500 miliardi) a carico del Meridione. Il risultato sarebbe la possibilità di ripartire senza passivo. Viene da farci un pensierino…
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Resisterà unita l'Italia al saccheggio delle risorse del Recovery Fund da parte delle prenditrici orde ferroviarie della “locomotiva” padana? Accadono cose che dovrebbero suonare non come un campanello, ma come campane a stormo d'allarme per il sistema di potere che regge il nostro Paese, incluso il fatto che l'entità dei furti di fondi pubblici subita dal Sud con la complicità dello Stato è tale che ci si potrebbe salvare solo con la fuga; e qualcuno fa i conti e scopre che sarebbe un affare, per il Mezzogiorno: avremmo i conti a posto con l'Europa e debito zero!
Bruxelles è preoccupata dello squilibrio del Pnrr, il Piano italiano per la ripresa con i soldi i soldi dell'Unione Europea, tanto che vuole indagare per capire se saranno davvero usati per ridurre il divario Nord-Sud, come chiede, o per aumentarlo, come ormai appare evidente; il presidente della Campania, Vincenzo De Luca non usa mezzi termini: «Questo Pnrr è una truffa»; in Senato cresce in pochi giorni la quasi inesistente pattuglia di difensori del Sud e in 26 votano contro una mossa pro-Nord del governo collegata al Pnrr; la politica ha fiutato il vento e nelle regioni meridionali si assiste a ricoloriture in tinta terrona di vecchi navigatori di mille partiti e all'apparentamento in corsa con movimenti, partitini, gruppi che possano dare un “passato meridionalista” a chi magari sino a ieri li accusava di “voler dividere l'Italia”; giornali che non degnavano di un rigo i temi della Questione meridionale, ora fanno titoloni sparati in prima pagina, sviluppando gli argomenti in quelle interne, per due-tre pagine (vedi Repubblica, due giorni fa).
La vera portata di quanto sta accadendo sfugge ai più, perché le dimensioni del fenomeno sono ancora minoritarie, rispetto al panorama politico nazionale, ma la velocità con cui questi fermenti si stanno imponendo è sorprendente. Forse, tutto questo ci sembra comunque scarso, ma sarebbe parso incredibile se, appena due-tre anni fa, ci avessero detto che sarebbe accaduto. Per fatto personale, ricordo che undici anni fa, del mio “Terroni”, inaspettatamente divenuto un best seller (e chi se lo aspettava, parlando di Sud!), si disse che aveva “riaperto la Questione meridionale ormai chiusa da decenni”. Ma avrei dato del pazzo a chi avesse preconizzato quanto stiamo vedendo oggi: sui diritti negati al Sud, di cui si prende coscienza, si sta costruendo un sistema di potere.
Ora l'Italia con la puzzetta antimeridionale sotto il naso ha di che essere inquieta.
La furia predatoria delle Regioni più ricche ed egoiste (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) che tentano di svuotare la cassa comune, trattenendo le tasse statali con l'Autonomia differenziata, porterebbe alla “Secessione dei ricchi”, secondo l'appello di centinaia di docenti universitari al presidente della Repubblica e firmato da 60mila cittadini. Ma cosa succederebbe se il Sud decidesse di separarsi e tornare uno Stato indipendente, come prima dell'Unità?
Abbiamo avuto una forza politica barbarica e razzista (terun de merda, porci, topi... Vesuvio, Etna, colera ammazzateli tutti, eccetera) che per anni ha minacciato la secessione, persino con uso di non so più quanti milioni di fucili (quello delle baionette era un altro). Tutta scena, ma serviva per accampare il diritto di togliere altri soldi al Sud (ladri, mafiosi, incapaci...) e spenderli al Nord (locomotiva che traina il resto del Paese, favoletta che non regge più: Milano e Lombardia, secondo uno lo studio più recente, ci sono costati 18 miliardi per una Expo che ha reso 400 milioni, per dirne una). Al contrario, al Sud la secessione converrebbe davvero, e basterebbero pochi esempi: l'Italia è sia un Paese ricco (il Nord, che assorbe praticamente tutti gli investimenti pubblici per le grandi opere), che un Paese povero (il Sud dove lo Stato non spende per treni, strade, porti, lavoro...).
Questo comporta che arrivino per il Sud tanti soldi dall'Unione europea, perché si aggiungano a quelli che deve spendervi l'Italia, per colmare il divario fra le due parti del Paese. Invece, i governi di ogni colore sottraggono al Mezzogiorno gli investimenti nazionali e li dirottano al Nord, lasciando che del Sud se ne occupi l'Europa, se vuole. Così, il mezzo Paese ricco guadagna a spese del mezzo Paese povero (perché impoverito dal sistema economico italiano).
E così la Questione meridionale, invece di essere sanata, si aggrava. Poi arriva il Recovery Fund e l'Italia, per la presenza della più vasta area europea con la più alta disoccupazione e i più bassi redditi, il Sud, “guadagna” circa 200 miliardi. Senza il Sud, sarebbero stati la metà. Applicando i criteri di ripartizione europei, il Movimento 24 Agosto per l'Equità Territoriale, il parlamentare europeo Piernicola Pedicini, gli esperti della Regione Campania e quelli del Comune di Messina hanno scoperto (nell'ordine) che al Sud spetterebbero dal 66 al 70 per cento del totale, ovvero da poco meno a poco più di 140 miliardi. IMentre il governo ne promette 82 (finti) e, certificati, nel Pnrr ce ne sono soltanto 22, forse 35.
Se il Mezzogiorno fosse un Paese autonomo, quei soldi resterebbero tutti al Sud e non sarebbero rubati per regalarli alle Regioni più ricche. Ma se ci si dovesse separare, ci sarebbe la questione del debito pubblico, che è di circa 2.500 miliardi e che andrebbe diviso fra gli italiani, pro-capite. I meridionali sono venti milioni, il 34 per cento della popolazione, quindi dovrebbero pagare il 34 per cento di 2500 miliardi, che fa 850 miliardi (ha fatto i conti, ancora una volta, l'onorevole Pedicini, che al parlamento di Strasburgo rappresenta il M24A-ET, di cui è vice presidente): è più di quanto, con il Recovery Fund, l'Europa distribuisca ai 27 Paesi dell'Unione. Ce li ha il Sud tutti quei soldi? No, perché glieli hanno rubati. Chi? Lo Stato italiano, per darli al Nord. E chi lo dice? L'ente di Stato che certifica che fine fanno i soldi pubblici (Conti pubblici territoriali). E quanto è stato rubato, al Mezzogiorno dallo Stato e si dovrebbe restituirgli, in caso di secessione? In 17 anni, 850 miliardi circa, senza contare il prima. Quindi, il Sud potrebbe uscirsene senza pagare un euro ed entrerebbe nell'Unione europea con zero euro di debiti, il che consentirebbe di attingere prestiti di malamorte dalle casse europee. Sulla carta, come dati economici, staremmo meglio della Germania!
Che dite, la tentazione viene? In più, sempre per iniziativa del M24A-ET, della Rete dei 500 sindaci del Mezzogiorno sorta per tutelare i loro diritti alle risorse europee, e di Pedicini, è stata presentata a Bruxelles una petizione illustrata in una seduta pubblica che la nostra emittente e il nostro sito web trasmisero (unici in Italia). Due giorni fa, al sindaco di Acquaviva delle Fonti, Davide Carlucci, portavoce dei 500 (mentre le firme furono raccolte dal M24A-ET) è giunta la risposta della presidente della Commissione per le petizioni, l'europarlamentare Dolors Montserrat, da cui si apprende che i timori dei sindaci meridionali di vedersi privati di quanto loro spetta sono fondati, perché la Commissione ha deciso “di condurre una indagine preliminare” sul rischio che “l'uso delle risorse del Next Generation Eu”, con la ripartizione “del Pnrr italiano”, invece di ridurre il divario Nord-Sud, come chiede Bruxelles, accresca la “divaricazione economica, sociale e territoriale ai danni del Mezzogiorno d'Italia”.
Aggiungete che, come già in una precedente nota facevamo notare, al Sud c'è il più ampio bacino di voti in libera uscita, per il crollo dei votatissimi cinquestelle, nel 2018, il fallimento del tentativo della Lega di accaparrarsi quegli elettori e la mancata crescita (anzi!) dei partiti tradizionali. Così, alcuni giorni fa, i 26 senatori, dei quali, salvi un paio, appena una mezza dozzina, a voler essere generosi, erano sospetti di meridionalismo e persino di fresco conio, votano contro l'Autonomia differenziata che ha fatto capolino nel Pnrr (e sarebbero stati di più, senza i tanti assenti giustificati). Un segnale forte per il governo, ma soprattutto del fatto che “puzzare di terronico” politicamente ora conviene: già nelle regionali calabresi avevamo visto l'ex presidente Mario Oliverio allearsi a Identità calabrese, l'ex sindaco di Napoli, comunemente (e non a torto) ritenuto più giacobino che “lazzaro”, scivolare a sorpresa, nel racconto di alcuni suoi elettori, verso il revisionismo storico meridionale, mentre dalla Sicilia (un recente incontro a Taormina) alla Puglia (dove pare si stia riattivando l'ex ministra Poli Bortone, che già condusse un tentativo alcuni anni fa), alla Campania, anche politici senza base elettorale si offrono a terroni organizzati in... schiere di quattro-cinque elementi o di migliaia di iscritti “a voce” (senza chiedersi come mai quelle moltitudini non abbiano mai espresso, finora, manco un capo condomino in elezioni fra parenti. Ma “tiemp 'e tempest, ogne pertuso è porto”, dicono a Napoli).
E nei gruppi già esistenti e di un certo corpo, si accendono ambizioni che portano a ideare nuove “fusioni”, “federazioni” per domani, ma che cominciano con nuove divisioni oggi. Il caos? Ma è dal caos che nasce l'ordine di un diverso futuro.
Come direbbe Mao: grande confusione sotto il cielo, dunque la situazione è eccellente: ma è un cielo meridionale che si sta alzando sull'orizzonte.