Ma che c’azzecca Anton Giulio Grande alla Film Commission? Nulla. Lo stilista lametino che "da bambino sognava di disegnare gli abiti per le bellissime soubrette protagoniste degli spettacoli del sabato sera e grazie al suo talento è riuscito a realizzare questo ambizioso progetto”, si ritrova un incarico in cui il suo talento non c’entra nulla. Si ritrova commissario “per un anno”, in attesa che Occhiuto nomini un presidente vero, a programmare il futuro di una struttura in cui lui non ha futuro.
L’ex commissario Giovanni Minoli (per cui non ho mai fatto il tifo) è stato fatto andare via. Ma invece che sostituirlo con qualcuno che sul cinema ha titoli per parlare – tipo il grande regista calabrese Gianni Amelio (l’ho buttata lì) o un manager di settore in grado di far funzionare la macchina – il presidente della Regione ci ha messo uno stilista. Uno stilista quotato, per carità, che tra i suoi titoli vanta l’aver vestito Belen Rodriguez, Valeria Marini, Anna Falchi e via dicendo. Quantomeno, se avesse vestito Jane Campion, Quentin Tarantino e Francis Ford Coppola avrei provato a capire (magari da anni sta studiando con Martin Scorsese per potersi preparare a questa nomina e io non lo so).

E così Grande, che viene dalla moda, si ritrova a capo di una struttura che dovrebbe occuparsi di maestranze, studios e mega cittadelle del cinema. Ma anche, dopo la riforma voluta da Occhiuto, di promozione turistica (e magari di libri di cibernetica e insalate di matematica).
Tra tante critiche, qualche hurrà. Uno dei primi ad esultare è il deputato leghista Domenico Furgiuele. Esultanza in quota Lega non condivisa dal leghista che la politica sembra aver scaricato, l’ex vicepresidente della Regione Nino Spirlì, che con la consueta classe ha commentato su Facebook: “Prossimo primario di Chirurgia in ospedale nu battilamera”.

Forse c’era necessità di ricoprire un vuoto (cerco di farmene una ragione), di prendere tempo. Magari in attesa di capire in che modo altre regioni, come ad esempio Campania e Puglia, hanno trasformato la capacità di offrire strutture e maestranze alle grandi produzioni cinematografiche e di serie tv in un ritorno d’immagine promozionale enorme. Per dire: grazie a un’azione lungimirante Napoli non è più “Gomorra” ma “Un posto al sole”. Però non basta un decreto, né uno stilista al timone di comando, per creare un’operazione simile.

Lascio agli altri la valutazione delle competenze, delle progettualità, del futuro. Mi soffermo sulla valutazione politica che sottende a questa nomina.
Occhiuto ha goduto finora del favore dell’opinione pubblica. Ha comunicato efficacemente con il vento in poppa: sulla sanità, ad esempio, ha fatto alcune uscite estremamente popolari. Ma in politica, quando si alza l’asticella, l’opinione pubblica pretende coerenza. Se Occhiuto dice ai manager della sanità «quando vengono dirigenti politici a chiedervi questa o quella cosa voi dovete dire: dovete parlarne col presidente. Lavorate avendo come bussola, semplicemente, i bisogni di salute dei calabresi», ha poi il dovere di essere conseguente in ogni settore.

Il bravissimo Anton Giulio Grande può andare benissimo in un progetto di sviluppo sulla moda, ad esempio. Ma l’opinione pubblica (o parte, non pretendo di parlare per tutti) trova stridente che uno stilista, invece che occuparsi di moda, si occupi per conto di tutti noi di cinema e promozione turistica. Quando si sottovaluta la capacità dei cittadini di riflettere, capire e valutare, poi si deve mettere in conto che le vele possono afflosciarsi in men che non si dica (vedi Renzi, Salvini, ma anche Oliverio et similia).
Quando una scelta non è comprensibile, non è coerente, bisogna avere la forza di fare una riflessione affinché una sottovalutazione non si trasformi in un grave errore.
Perché tanti cittadini comuni non la capiscono proprio la ratio di questa nomina. E neanche io. Spero che Occhiuto rifletta, in profondità, sulle ragioni per cui ciò che andava bene in altre stagioni politiche ora non è più ammissibile.