La tempesta abbattutasi sugli aeroporti calabresi (gli enti pubblici soci della società di gestione, la Sacal, hanno lasciato la maggioranza ai privati) forse va letta con altri occhi: non pensare agli aeroporti “per i calabresi”, ma “in Calabria”.

La differenza è tanta... L'Italia dimentica che la sua fortuna, nella storia, è stata essere al centro del Mediterraneo, in modo da intercettare ogni movimento di popoli e merci Est-Ovest-Est, Sud-Nord-Sud; e, calcolando che l'area mediterranea è nella fascia di latitudine in cui ci sono le migliori condizioni per l'evoluzione della vita su questo pianeta, il vantaggio di posizione è inarrivabile. I greci (anche i greci) ci costruirono una civiltà, i romani un impero; noi manco un traghetto.

Che c'entra questo con il pasticcio (diciamo così...) del passaggio ai privati della Sacal? Che noi ci stiamo preoccupando di capire come mai, per poche centinaia di migliaia di euro (e in qualche caso migliaio) istituzioni locali, Comuni, Province, Regione, si siano sfilate da una società di fondamentale importanza; ma ci si limita a una visione angusta, paesana, della faccenda, ignorando, e forse neppur ci si pensa, le possibilità di sviluppo che derivano dal fatto di avere aeroporti in Calabria, ovvero un vantaggio incolmabile da parte di concorrenti del resto del Mediterraneo.

Insomma: il nostro mare (che fu “Nostrum”, perché ne siamo al centro) è uno dei posti in cui sono concentrati i maggiori traffici turistici e mercantili del pianeta: perché questo non dovrebbe portare lavoro, ricchezza, opportunità ai calabresi? Pensate alla comodità di atterrare a Reggio Calabria, a Lamezia Terme, provenendo dall'America, la Cina, l'Australia, dovendo poi raggiungere mete che sono più o meno alla stessa distanza, in tre continenti: Africa, Asia, Europa. Si scende in Calabria, si prende una coincidenza “locale” e in meno di un'ora o poco più, è fatta.

Lo dico più chiaro: la posizione, i traffici, dicono che la Calabria è un naturale Hub (“perno”: gli scali di snodo, di smistamento) internazionale, e la sua realizzazione, se ci si muovesse, sarebbe perfettamente in linea con gli scopi che si prefigge l'Europa con la valanga di soldi del Recovery Fund; ma l'Italia spreca questa fortuna e i calabresi non ne pretendono lo sfruttamento. Ogni volta che un viaggiatore o una merce toccano un aeroporto, un porto, lasciano valore. La fortuna di Atene, che ha un retroterra di scarsissimo reddito, fu il suo porto, il Pireo: il gioco dei venti mediterranei spingeva lì le navi e dovevano sostarvi finché non c'era un vento favorevole per la meta definitiva. Così, le merci, magari erano in parte vendute lì, facendo guadagnare agli ateniesi per l'intermediazione; gli equipaggi dovevano mangiare, bere, recuperare la lunga astinenza sessuale... C'era pure chi vendeva loro il vento migliore per arrivare a destinazione (basta avere un rapporto diretto con il dio delle correnti d'aria o essere capaci di farlo credere).

Per capirci: da Reggio Calabria a Tunisi, in linea d'aria, sono meno di 600 chilometri, poco più di mezz'ora, in aereo; ma se ci volete andare, dovete fare tre-quattro scali fra Fiumicino, Milano, Napoli, Parigi e, finalmente, Tunisi: roba che a momenti ci si arriva prima a nuoto; per Tel Aviv ci vorrebbe, in via diretta, un po' di più, ma senza paragoni con oggi, che come via più breve vede il salire verso Nord, invece di andare a Est, fare scalo a Fiumicino, poi in Bulgaria o in Romania e da lì in Israele (questa è la “scorciatoia”...).

La follia di un Paese gretto, razzista e fondamentalmente stupido, che spezza le gambe alla crescita del Sud (pochissimo reattivo e più spesso complice), fa prevalere scelte che, in cambio di un piccolo vantaggio per pochi, provocano un enorme danno per tutti, inclusi, alla fine, pure i pochi che nell'immediato ci guadagnano: come bruciare banconote per riscaldarsi; non dimentichiamo che, esattamente a partire dall'anno in cui, per la prima volta, la gestione si era chiusa in attivo, per la pretesa lombarda di trasferire la base dell'Alitalia da Fiumicino a Malpensa, nonostante la devastante moltiplicazione dei costi, si portò la compagnia di bandiera al disastro. «Se non si sposta a Milano, l'Alitalia può pure fallire», tuonò l'allora sindaca meneghina Letizia Moratti, con il coro dell'allora presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, poi finito in galera.

La nuova compagnia, la Ita, campa dei soldi di tutti noi, ma ne godono pochi. Il vantaggio di posizione della Calabria, per dire, viene rivolto nel suo contrario: non scalo di snodo, ma isolamento. Lavoro in Calabria, ma vivo ai Castelli Romani, sono un pendolare. Per ottimizzare i tempi, scendevo in treno il lunedì e qualche giorno dopo risalivo con l'ultimo aereo comodo, la sera, per non perdere una giornata di lavoro. Oggi, dovrei prendere un areo nella mattinata del giorno dopo; o un treno nel primo pomeriggio, il che mi fa perdere mezza giornata di lavoro, che recupero arrivando un giorno prima, a sera. È uno spreco di tempo e soldi, ma posso permettermelo, perché la mia professione mi consente elasticità. Come dire, fra i danneggiati, sono fra i meno colpiti. Ma immaginate chi non ha la possibilità di giostrare con i tempi; o ha tempi risicatissimi, magari imprenditori, grandi manager che la professione porta a spostarsi velocemente: non hanno possibilità di arrivare in Calabria, per un incontro di un'ora o due, e ripartire in giornata. Cosa che si può fare agevolmente, invece, se si deve andare a Parigi, a Londra, a Berlino. Due giorni per un incontro di lavoro sono tanti, al punto che se proprio non si tratta di qualcosa di molto importante, si arriva a volte alla rinuncia e magari a realizzare progetti in un altrove più facilmente raggiungibile.

E la stessa cosa vale per quei calabresi che hanno aziende, affari, incarichi di rilievo fuori regione. Ho chiesto all'editore di questa emittente, Domenico Maduli, che so essere uno di questi pendolari: «Il tempo è un prezzo spesso troppo alto da pagare», ha risposto. «E se aspettiamo che la soluzione ci venga da chi ha creato il problema o lo ignora... Almeno per la fascia di viaggiatori non proprio “low cost”, diventerebbe più conveniente avere una compagnia privata calabrese: aerei da una trentina di posti, con venti milioni ne compri tre. Vuol dire che se qualche decina di imprenditori si quotassero, avremmo un servizio a prezzi accettabili e si rischierebbe anche di guadagnarci qualcosa. Io ci sto» (se si sbrigassero, io ci guadagnerei pure io: mezza giornata libera a settimana).

Vabbe', diciamo che da chi è abituato a pensare in quei termini, una risposta del genere c'era da aspettarsela; so di un armatore italiano che quando in un porto straniero negarono l'approdo alle sue navi, non disse nulla: scelse un porto accanto e lo comprò. Lasciate perdere la sproporzione (viaggiando molto, quando compii 65 anni, feci il calcolo di quanto avrei risparmiato, in un anno, sui treni, con lo sconto-anziani), quel che conta è vedere che da un problema, a volte, si esce non abbassando l'asticella, ma alzandola; il che apre anche a nuove opportunità.

Quello che manca alla Calabria in particolare, ma all'intero Sud e persino all'Italia in generale, in questi ultimi decenni, è il senso della responsabilità proprio del futuro, la visione di quello che si vuole essere, la coscienza delle proprie capacità, che sono notevoli. Anche se c'è da dire che forse proprio nel Sud e nelle regioni peggio messe del Sud, forse per disperazione, forse perché tutte le altre scelte non sono più possibili (salvo la fuga), si nota un moto d'orgoglio, un minimo di riscatto.

Riconosciuto questo, però, è avvilente che la Calabria resti sempre più isolata; e i rappresentanti delle istituzioni (ma pure gli stessi capi locali di Confindustria!) accettino supinamente, da dirigenti di serie B di cittadini di serie B, la continua svalutazione dei diritti della comunità e del territorio; e si arrivi al punto che gli enti pubblici perdano il controllo della gestione degli aeroporti, perché c'è stata un po' di confusione fra uno sbadato, uno smemorato, “la Corte dei Conti”, “la Regione bloccata, per le elezioni”. («Ma ci pensi se, durante il semestre bianco, ci dicessero che il Quirinale è stato venduto a una società immobiliare, perché in quei mesi non si tocca palla?).
Ora c'è lo scambio di accuse, la selva di giustificazioni e capisci, dal livello degli argomenti e dei toni, perché, finché situazioni e protagonisti saranno tali, non lo avremo mai l'Hub intercontinentale fra gli aeroporti calabresi; e manco gli aeroporti e basta, temo.