Ad eccezione di Benevento e Chieti, in tutte le province del Mezzogiorno nel primo trimestre di quest’anno è previsto un aumento delle assunzioni rispetto alle previsioni riferite allo stesso periodo del 2024. Nel resto d’Italia, invece, per 45 province del Nord e del Centro le variazioni saranno anticipate dal segno meno. La situazione più virtuosa è attesa a Siracusa con il +29,8 per cento (+1.770 entrate). Seguono Foggia con il +25,9 (+2.070), Matera con il +23,6 (+670), Vibo Valentia con il +20,1 (+350) e Messina con il +19,1 (+1.700). Nonostante il depotenziamento previsto per il 2025, la decontribuzione relativa alle assunzioni nella Zona Economica Speciale (Zes) unica per il Mezzogiorno e l'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) rappresentano i due elementi fondamentali in grado di "giustificare" l'eccellente performance occupazionale attesa nel Mezzogiorno in questi primi mesi dell’anno.

Se Vibo è l’avamposto (in termini percentuali) di questa tendenza, tutta la Calabria pare destinata a beneficiare dei vantaggi combinati di Zes e Pnrr: le previsioni dell’Ufficio studi Cgia parlano di 2.060 posti di lavoro in più nel 2025 rispetto al primo trimestre dell’anno scorso, con un aumento del 9,7%. Oltre alla crescita di Vibo Valentia, si vedono segni positivi a Cosenza (+10,5 per cento di assunzioni per 820 posti di lavoro), Crotone (+9,1% e 180 assunzioni), Reggio Calabria (460 assunzioni in più, crescita del 9,1%) e Catanzaro (+5,2% e 240 posti di lavoro guadagnati).

In Calabria il 45% degli imprenditori non trova personale qualificato

Numeri positivi. L’indagine della Cgia evidenzia anche qualche paradosso. Nonostante le numerose crisi aziendali che affliggono il Paese stiano mettendo a rischio quasi 120mila posti di lavoro, entro i prossimi tre mesi le imprese italiane hanno dichiarato all’Unioncamere/Ministero del Lavoro l'intenzione di assumere 1,37 milioni di lavoratori, di cui 380mila circa a tempo indeterminato. Tuttavia, in un caso su due, sussiste il rischio di non poter procedere alle assunzioni a causa della carenza di candidati o dell'impreparazione delle persone che si presentano ai colloqui. Succede in tutte le regioni. L’incidenza maggiore si registra in Umbria (il 55,7%), Marche (55,6) e Friuli Venezia Giulia (55,1%). La Calabria non è certo esente dal fenomeno: l’incidenza percentuale di difficile reperimento tocca il 45,6% nella nostra regione. Il Nordest dovrebbe essere la ripartizione geografica dove la difficoltà di reperimento del personale è più elevata e pari al 54,3 per cento. Seguono il Centro con il 49,1, il Nordovest con il 48,8 e il Mezzogiorno con il 46,1. Le categorie professionali che più delle altre si faticano a trovare sul mercato del lavoro sono i dirigenti nel 68,2 per cento dei casi e gli operai specializzati nel 66,9.

Pertanto, a fronte di 120mila lavoratori che potrebbero perdere il posto, nei primi tre mesi di quest’anno le imprese non sarebbero nelle condizioni di coprire, nemmeno offrendo un posto fisso, almeno 190mila posizioni lavorative. Con un costante decremento della popolazione giovanile e un incremento significativo della fascia più anziana, gli imprenditori manifestano una crescente preoccupazione per la mancanza di personale che è decisamente superiore ai possibili effetti di una nuova crisi che, tuttavia, si sta diffondendo in buona parte dell'Unione Europea.

Sempre meno giovani che entrano nel mercato del lavoro

Il numero dei giovani presenti nel mercato del lavoro è in costante diminuzione, un trend che, comunque, sta interessando la gran parte dei principali paesi del mondo occidentale. In Italia, però, la situazione è molto più critica: “…La fascia di età 25-34 è passata da circa 8,5 milioni di persone nel 2004 ai 6,2 milioni attuali. Si tratta di un crollo inedito rispetto al passato e tra i più accentuati in Europa. La forte riduzione del rinnovo della popolazione attiva va trascinare via via verso il basso la forza lavoro potenziale. In particolare la fascia 35-49 è passata da oltre 14 milioni di residenti nel 2014 a meno di 11,5 milioni nel 2024, con la previsione di scendere a meno 10 milioni entro il 2040…”.

Entro il 2028 ben 3 milioni di addetti in pensione. Sostituirli sarà un problema

Auspicando che le crisi industriali scoppiate in questi ultimi mesi si concludano con soluzioni che garantiscano la continuità aziendale e la salvaguardia dei posti di lavoro interessati, con pochi giovani e il conseguente invecchiamento della popolazione in atto nel nostro Paese provocheranno nei prossimi anni moltissime criticità, anche al sistema economico e produttivo del Paese. Squilibri che nessuno, in tempi ragionevolmente brevi, sembra avere gli strumenti appropriati per affrontare con successo. A tal proposito è utile ricordare che, alla luce delle informazioni riportate nel report “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia nel medio termine (2024-2028)”, il fabbisogno occupazionale delle imprese pubbliche e private presenti in Italia in questo quinquennio dovrebbe attestarsi attorno ai 3,6 milioni di occupati. Di questi, l’83 per cento circa, pari in valore assoluto a quasi 3 milioni di addetti, dovrebbe sostituire chi è destinato a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età. Pertanto, considerando le difficoltà nel reperimento di personale e il numero esiguo di giovani alla ricerca della prima occupazione, nel prossimo decennio la vera sfida non consisterà tanto nella reintegrazione di coloro che hanno perso il lavoro a causa di crisi aziendali, quanto piuttosto nella copertura dei posti vacanti.