La ricetta di un fallimento in salsa calabra non è difficile: prendi un insediamento produttivo che all’inizio funziona, come quello di Crotone, diluiscilo con altre Aree di sviluppo industriale piene di debiti, come l’ex Asi di Reggio Calabria, aggiungi senza lesinare propaganda politica e incompetenza amministrativa, mescola bene e lascia riposare per tre anni almeno, avendo poi cura di servire con abbondanti capre al pascolo.

Capre, capannoni e razziatori di rame

È così che appare oggi l’area Corap di Crotone, una superfice di 900 ettari con fabbriche e capannoni tra i quali si aggirano greggi di ovini che pasteggiano beatamente tra i rifiuti. Una terra di nessuno punteggiata da piccole enclave: sono le aziende che resistono nonostante tutto, barricate per difendersi dai razziatori di rame e dai ladri che approfittano delle telecamere rotte o semplicemente non collegate alla rete elettrica, che costellano l’area.
Nel Corap di Crotone, come nelle altre provincie calabresi d’altronde, mancano i soldi per tutto: per la manutenzione delle strade, per la sicurezza, per garantire pulizia e servizi alle imprese. A ogni ora del giorno e della notte ci sono camion, furgoni e auto che raggiungono questo deserto assolato per disfarsi di ogni tipo di rifiuti, facendo fiorire ovunque putrescenti micro-discariche. Una situazione che abbiamo documentato anche con la telecamera del nostro drone, in un giorno qualsiasi della solita Calabria capace di paradossi inarrivabili.

Spending review fallita

Come varare nel 2016 un nuovo ente strumentale, il Corap appunto, finalizzato ad attuare la spending review accorpando le cinque Asi provinciali esistenti per ridurne i costi, ma ottenendo il risultato diametralmente opposto: aumentare lo sperpero con l’ingaggio di ben 7 dirigenti pagati fino 250mila euro l’anno ciascuno, dispensando consulenze a pioggia e innescando una valanga di debiti che in poco più di 3 anni ha seppellito il consorzio sotto un mare di ingiunzioni di pagamento.
Un default virtuale (essendo pubblico, il Corap non può fallire in senso tecnico) per un dissesto drammaticamente concreto, vero come i 90 milioni di euro di debiti accumulati e i 50 milioni di crediti in gran parte inesigibili.
Il risultato è un carrozzone pubblico con oltre 100 dipendenti senza stipendio da circa 5 mesi, che sta trascinando verso il basso anche le aziende che sorgono nelle aree industriali che dovrebbe gestire assicurando i servizi essenziali. Una situazione che a Crotone appare anche più grave che altrove, forse perché paragonata a ciò che c’era prima, cioè un’Asi che funzionava.

«Hanno distrutto una cosa che funzionava»

«Hanno preso una cosa che andava bene e l’hanno distrutta». Il presidente di Confindustria Crotone, Michele Lucente, non usa giri di parole per descrivere quanto avvenuto. «Sin dall’inizio avevamo detto che l’accorpamento dei vecchi nuclei industriali non avrebbe prodotto risultati positivi - spiega -, non perché fossimo contrari in linea di principio al modello regionale, ma perché era chiaro che il Corap stesse nascendo già zoppo, limitandosi a sommare i bilanci delle varie Asi, di cui 4 su 5 erano in passivo. L’unica che non era in rosso era proprio quella di Crotone, che chiudeva i conti in attivo ogni anno e forniva servizi efficienti e puntuali alle imprese. Da queste parti stavamo costruendo una sorta di giardino dell’imprenditoria calabrese, poi è stato istituito il consorzio regionale ed è saltato tutto».
Per il presidente degli industriali crotonesi le responsabilità sono evidenti come un pugno nell’occhio: la Regione ha fallito su tutti i fronti, non riuscendo né a tagliare i costi, né a promuovere lo sviluppo industriale.
«Se fossi candidato alla Regione come Oliverio - continua Lucente - avrei sistemato la vicenda Corap molto prima. Ora la situazione appare irrecuperabile, ma se il governatore ritiene di poter riuscire a risolvere il problema come dice, dovrebbe farlo prima delle elezioni. In caso contrario, continuare a dare rassicurazioni sul mantenimento dei posti di lavoro, strumentalizzando la vicenda sulla pelle degli imprenditori e dei lavoratori sarebbe un’operazione di bassissimo livello».

«Oliverio non speculi sui lavoratori»

Il rischio di una deriva elettoralistica, che trasformi l’agonia del Corap in uno strumento di propaganda politica in vista delle Regionali, lo intravede anche il segretario generale della Uil di Crotone, Fabio Tomaino: «Quando il presidente della Regione dice che non si perderà neppure un posto di lavoro, mi preoccupo ancora di più - afferma il sindacalista -. Mi sembra che si vogliano mettere in atto quelle vecchie logiche politiche per le quali i lavoratori vengono rassicurati senza però concrete garanzie. Per salvaguardare davvero i posti di lavoro, serve un piano industriale, una strategia di sviluppo che sino ad oggi il Corap non ha mai espresso».
Un concetto che Tomaino rimarca mettendo l’accento sulla necessità di salvaguardare il tessuto imprenditoriale. «Come sindacalista – dice – la mia prima preoccupazione sono i posti di lavoro, ma non ci può essere occupazione se le imprese muoiono e se non vengono aiutate a crescere».

C'è chi è pronto spostare parte della produzione

Concetto chiaro, che viene evidenziato impietosamente dalla realtà dei fatti. Oggi, nella zona industriale della città pitagorica, tra degrado e rifiuti, resiste solo chi è davvero ostinato ad andare avanti e può contare su una forte capacità competitiva. Come l’Arredo Inox, azienda dell’imprenditore crotonese Alessandro Cuomo, che realizza attrezzature professionali per la trasformazione alimentare (come stagionatori e armadi per la frollatura) e ha in cassaforte ben tre brevetti di invenzione industriale. Un tesoro di know how che le consente di esportare in tutto il mondo e di stare al sicuro dalla concorrenza dei cinesi.
«Ormai ci sentiamo prigionieri in casa nostra - spiega Cuomo -. Purtroppo qui non ci sono più le condizioni per continuare crescere, ecco perché in autunno sposterò una parte della produzione in Lombardia. Sia chiaro, però, non toccherò un solo posto di lavoro nella sede di Crotone, ma siamo costretti ad andare altrove per crescere, per ampliarci. Lo facciamo con il rammarico che poteva andare diversamente, se la politica avesse avuto lungimiranza e capacità di intervenire efficacemente per lo sviluppo dei territori. Qui, gli unici veri “partner” della mia azienda sono la Questura, la Guardia di finanza e Confindustria. E solo grazie ai loro sforzi se riusciamo a resistere nonostante tutto, nonostante i rifiuti che vengono bruciati ogni notte, la mancanza di servizi e il degrado che attanaglia l’area».

Aziende come fortini da difendere

E se con il sole alto nel cielo è lo sconforto a prevalere, quando calano le tenebre c’è da aver paura. L’intera zona diventa preda dei razziatori di rame e di ladri alla ricerca di qualunque cosa abbia un valore commerciale: attrezzature, porte, infissi, servizi igienici. Tutto.
Le aziende diventano così fortini da difendere dalle incursioni, anche organizzando ronde di operai disposti a vigilare per tutelare il proprio luogo di lavoro.
Le imprese che ancora operano nella zona si vergognano delle condizioni in cui sono costrette ad accogliere clienti e partner commerciali, soprattutto se vengono dall’estero e non sono abituati a un colpo d’occhio così disarmante. Dunque, si organizzano in proprio per pulire, almeno in parte, le grandi strade di accesso che disegnano il reticolo dell’area industriale. Strappano le erbacce e rimuovono i rifiuti davanti le proprie sedi, redendo paradossalmente ancora più evidente lo stato d’abbandono quando con l’auto passi dove nessuno è intervenuto.

Corap di Crotone punta dell'iceberg

L’esempio di Crotone è solo il più emblematico, la punta dell’iceberg contro il quale è andato a sbattere il Consorzio regionale delle attività produttive, istituito nel 2016 dal presidente Mario Oliverio, sulla base di una legge regionale, la numero 24 del 2013, voluta da Scoppelliti nell’ambito della spending review promossa dal governo Monti.
Per il Corap non c’è futuro: i conti sono troppo compromessi e immaginare una ricapitalizzazione da decine e decine di milioni di euro per appianare i debiti è pura illusione. Nonostante ciò, la Regione non ha ancora tratto il dado della messa in liquidazione. Il governatore prende tempo, limitandosi ad assicurare che la giunta sta studiando il problema attraverso il commercialista Giorgio Sganga, al quale è stato affidato il compito di valutare aspetti contabili e giuridici. Una nuova consulenza che si sarebbe potuta evitare, visto che la parola fine avrebbe potuto scriverla direttamente il direttore uscente, l’ingegnere Filippo Valotta, che appena due mesi fa, alla fine di aprile, subentrò al commissario Carmelo Salvino con tanto di conferenza stampa al fianco del governatore. Ma, sebbene non ci sia ancora l’ufficialità, pare che già da qualche giorno Valotta abbia messo le dimissioni sul tavolo, avendo forse pienamente realizzato che gli avevano passato un cerino acceso e cortissimo.
In attesa che scorrano i titoli di coda sul consorzio calabrese delle attività produttive, ai dipendenti dell’aziende non resta che incrociare le dita e sperare che gli imprenditori non siano costretti a delocalizzare la produzione.
Intanto, le capre possono continuare a pascolare tranquille tra capannoni abbandonati e rifiuti.


Enrico De Girolamo