Il candidato alla presidenza della Regione: «La vertenza che coinvolge 7mila lavoratori è una vicenda da macelleria sociale. Me ne occuperò personalmente»
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«Quella dei quasi settemila tirocinanti calabresi è una vicenda da macelleria sociale, puro sfruttamento e mortificazione di capacità e di percorsi lavorativi». Lo afferma Luigi de Magistris candidato presidente alla Regione Calabria specificando: «Parliamo di uomini e donne che da oltre un decennio prestano servizio nella pubblica amministrazione, andando spesso a coprire inadeguatezze e falle sistematiche degli enti, congelati in uno status perenne di precarietà. Manodopera a basso costo da utilizzare a piacimento, famiglie monoreddito inchiodate a un rimborso mensile di 500 euro, competenze e saperi umiliati da una condizione, quella di tirocinanti, che cela semplicemente l’idea di un bacino cui attingere senza alcun riconoscimento di ferie, malattia, infortuni».
A giudizio del candidato: «È una vergogna, una mortificazione cui metterò mano dal giorno dopo le elezioni ponendo fine a questo sfruttamento legalizzato ai danni di lavoratrici e lavoratori che da anni sono mortificati e privati della propria dignità. Nella nuova svolta che daremo alla Regione Calabria non c’è posto per situazioni del genere, lo dico da mesi; queste persone continuano a reggere sulle proprie spalle settori importanti della pubblica amministrazione, dalla scuola alla giustizia passando per i beni culturali, e con loro mi sento di impegnarmi che farò quanto in mio potere per risolvere una volta per tutte questa situazione incresciosa».
Per de Magistris «Le loro competenze saranno riconosciute, i loro punteggi validati, la possibilità di una uscita dal precariato verso la stabilizzazione non sarà più un miraggio ma un obiettivo concreto. L’era del precariato terminerà, così come l’era della spartizione dei posti in favore degli amici e dei parenti, e la Calabria nuova che stiamo cercando di costruire camminerà anche sulle gambe di quelle donne e di quegli uomini che ritroveranno la propria dignità del lavoro e la propria stabilità di vita».