VIDEO | Per la prima volta dentro la struttura nata dal progetto Mediterranean Hope per i braccianti africani che occupano i ghetti e non hanno un'abitazione: sei appartamenti già pronti e già dieci ospiti che utilizzano gli alloggi
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L’intero piano di un palazzo, 6 appartamenti dotati anche di condizionatore d’aria e televisore, per una struttura i cui comfort, però, sono nulla di fronte al normale che diventa straordinario leggendo del suo nome: Casa della dignità. Le telecamere di LaCnews24 sono le prime ad entrare per una testata calabrese, mentre i mediatori del progetto Mediterranean Hope sono intervistati dalla troupe di Protestantesimo – la nota trasmissione Rai curata dalla federazione delle chiese evangeliche italiane – e questo interesse mediatico Francesco Piobbichi, un umbro che da 3 anni lavora nell’assistenza ai migranti della piana di Gioia Tauro, lo spiega senza giri di parole.
«È il primo progetto italiano che sperimenta una risposta abitativa, partendo dal diritto al lavoro dell’ospite che compartecipa alle spese in una forma di mutuo soccorso. Per questo sono venute per raccontare questa formula anche tv tedesche ed olandesi». Dambe So, questa la traduzione in lingua Bambara del nome dell’ostello sociale che sorge in un paese a ridosso della tendopoli di San Ferdinando, ospita già 10 persone.
Gli organizzatori ci chiedono di assecondare l’esperimento che stanno facendo. «Stiamo provando a non enfatizzare la localizzazione geografica del luogo per il momento – prosegue Piobbichi – la casa è qui, la potete vedere, ma potrebbe essere altrove perché quel che conta è la vicinanza di essa al lavoro di chi la abita e per noi non ha importanza stressare ora l’identificazione del luogo, ha invece senso spiegare che dare una casa a chi lavora significa renderlo libero da un bisogno che è elementare e che qui invece non lo è: vogliamo che questa Casa non sia di un solo paese, ma di tutti i lavoratori».
Gli organizzatori hanno pensato di offrire un alloggio immediato a chi ha un lavoro stagionale e sa di doversi spostare, ma pensano anche ad una seconda fase del progetto. «C’è chi trova un lavoro stabile – prosegue Piobbichi - allora in quel caso tramite la nostra rete possiamo aiutarlo a cercare una sistemazione definitiva garantendo per lui sulle spese di affitto».
Non un affittacamere, quindi, nella struttura ci sono già volontari impegnati nei corsi d’italiano e qualche ospite sta pure prendendo la patente di guida. L’obiettivo è quello di chiudere i ghetti. «Noi abbiamo già una proficua collaborazione con la cooperativa SoS Rosarno – conclude Piobbichi – e altre ne avremo con associzioni che lavorano con piccoli produttori perché sul tema delle politiche abitative dobbiamo stanare il grande assente, ovvero la grande distribuzione, che si deve assumere nell’intera filiera il costo delle politiche dell’accoglienza dei lavoratori che impiega. Per questo pensiamo che il nostro esperimento può avere come alleati i piccoli produttori locali e le comunità di un territorio che ha dato prova di saper accogliere».