Nel percorso di mobilitazione e scioperi proclamati da Cgil e Uil lo scorso 27 ottobre per cambiare la proposta di legge di Bilancio e le politiche economiche e sociali messe in campo dal Governo, a sostegno delle piattaforme sindacali, la prima data che vedrà le lavoratrici e i lavoratori astenersi dal lavoro e manifestare è quella di venerdì 17 novembre per 8 ore, o intero turno di lavoro su tutto il territorio nazionale. Le manifestazioni si terranno dalle ore 10.00 davanti alle prefetture di Catanzaro, Reggo Calabria e Cosenza

Insieme ad altre categorie, trasporti, scuola, poste, tutti i lavoratori che svolgono attività di pubblica utilità, non compresi nelle categorie menzionate, ma soggetti alle limitazioni della legge 146, si asterranno dal lavoro anche i dipendenti che erogano servizi pubblici direttamente o indirettamente. «Infatti, è facile rilevare che quanto previsto dal Governo, non solo non stanzia risorse sufficienti per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici delle funzioni centrali, funzioni locali, sanità, ma addirittura definanzia i fondi necessari alle autonomie locali per sostenere i servizi sociali, i servizi in appalto o in convenzione (igiene ambientale, sanità privata, terzo settore), che erogano prestazioni ormai fondamentali per i cittadini, con un taglio di 600 milioni di euro che riguarderà Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni».

Lo si legge in una nota diramata dalla segretaria generale Fp Cgil, Alessandra Baldari, dal segretario generale Uil Fpl, Walter Bloise, e dalla segretaria generale Uilpa Calabria Loredana Laria. «In merito ai rinnovi dei contratti, le cifre previste sono totalmente insufficienti al recupero del potere d’acquisto dei salari eroso dall’inflazione a doppia cifra di questi anni; non solo, non bastano a rifinanziare le risorse necessarie al completamento della riforma dell’ordinamento professionale per portare a regime il sistema di classificazione, non bastano a rifinanziare i fondi per la contrattazione decentrata, lasciando inalterato il tetto di spesa che blocca gli incrementi di salario accessorio».

«Inoltre, il Governo prevede un anticipo nel 2023 solo per i lavoratori a tempo indeterminato e solo per il personale dipendente dalle amministrazioni centrali e per i lavoratori della sanità con risorse vincolate del FSN, escludendo, quindi, i dipendenti delle funzioni locali che dovrebbero sperare nella salute finanziaria dei bilanci dei propri enti di appartenenza per poter godere del famoso anticipo» proseguono nella nota i tre sindacalisti.

«Un anticipo comunque irrisorio (IVC rivalutata del 6,7%), che creerà un effetto paradossale, in primis farà aumentare la tassazione e, poi, chi percepirà gli anticipi contrattuali in una unica soluzione a dicembre, a gennaio non vedrà effetti sulla busta paga in positivo ma anzi un segno meno perdendo l’emolumento accessorio una tantum erogato fino al 2023 che sarà assorbito. Inoltre, non vi è alcun finanziamento per un piano straordinario di assunzioni al fine di sviluppare, innovare e rendere efficienti i servizi pubblici».

«Ma vi è di più, non ci sono risposte per la stabilizzazione dei precari storici nel settore pubblico e neanche quelli del Pnrr e dei Pon che sono una risorsa importante ormai formata per modernizzare la P.A. e, ancora, non si danno risposte ai tanti idonei delle graduatorie che sin da subito potrebbero ridare fiato ai nostri Enti. L’attacco ai pubblici continua, non dando attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il differimento del TFR/TFS dei lavoratori pubblici dai 5 ai 7 anni e non estendendo i benefici fiscali per la contrattazione di secondo livello come avviene per i dipendenti privati».

«Sulla sanità - attaccano i tre segretari - il finanziamento del FSN è totalmente insufficiente a salvaguardare il SSN, non solo, le risorse stanziate sono sul capitolo contratti e prestazioni/orario aggiuntive, ovvero, invece di assumere per far funzionare i servizi e smaltire le liste d’attesa, si fa lavorare di più chi è già in servizio, certo pagandolo di più, ci mancherebbe! Ma i lavoratori della sanità scappano dal SSN non solo perché mal retribuiti, ma molto di più perché stanchi e in una condizione di lavoro insostenibile».

«Inoltre, le risorse stanziate per il FSN non coprono le maggiori spese dei servizi sanitari regionali, né finanziano a regime la riforma della sanità territoriale che ha pure subito un taglio consistente dei fondi del Pnrr Ancora, dal punto di vista previdenziale, i 9 mesi aggiuntivi a quota 103 per i lavoratori pubblici che vogliono andare in pensione suonano come una beffa ed è una vergogna il ricalcolo contributivo di tutti i versamenti che taglia l’assegno pensionistico fino al 20%. Perché la pensione di chi se l’è guadagnata non può superare quattro volte il minimo?».

«Si colpiscono ancora una volta le donne con l’aumento a 61 anni per accedere a “opzione donna”. Ma la cosa più vergognosa in tema di previdenza, è la revisione delle aliquote del calcolo delle pensioni liquidate a partire dal 1° gennaio 2024 che penalizza per cifre significative i lavoratori degli enti locali, gli insegnanti di scuola comunale e parificate, degli ufficiali, aiutanti e coadiutori giudiziari e della sanità, intervenendo ai limiti della costituzionalità su diritti acquisiti, quindi innescando una fuga senza precedenti dal servizio pubblico già in sofferenza, per evitare le pesanti penalizzazioni, di personale essenziale ancor di più a fronte di nessuna prospettiva assunzionale, la tempesta perfetta!»

«Giorno 17, inoltre, anche i lavoratori privati che si occupano di servizi alle persone si asterranno dal lavoro perché rivendichiamo anche per loro la tutela di un salario dignitoso, finanziamenti adeguati per tutti i servizi tali da evitare il dumping contrattuale e garantire la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, maggiori fondi per la disabilità in luogo del taglio di 350 milioni di euro, risorse per l’internalizzazione dei servizi di inclusione scolastica, infine, non ci sono risorse per i contratti collettivi del terzo settore ormai scaduti».