VIDEO | Il dibattito sui progetti che andrebbero finanziati non è decollato ma entro la fine di aprile l’Italia deve presentare le sue proposte. Il docente di Politica economica dell’Università di Catanzaro mette a fuoco le priorità
Tutti gli articoli di Economia e lavoro
Sull’altra metà della mela, la parte economica di questa crisi epocale, in Calabria il dibattito langue sebbene entro fine aprile l’Italia dovrà presentare a Bruxelles i progetti per il Recovery plan. Un fotofinish strettissimo per una partita che per il governo Draghi vale 191 miliardi, soprattutto prestiti, a cui per il Sud vanno aggiunte le risorse – già disponibili – dei cosiddetti Fondi di Coesione, per una posta complessiva che supera i 210 miliardi. Di questi, quanti andranno alla Calabria ?
«Non si tratta più di interventi a pioggia – chiarisce Vittorio Daniele, docente di Politica economica all’Università di Catanzaro – perché gli assi imposti dall’Unione sono ben delineati: i progetti dovranno riguardare la transizione ecologica, la transizione digitale e le infrastrutture per la mobilità sostenibile, e siamo di fronte ad un cambio di passo di Bruxelles che non si occupa più soltanto della vigilanza sui conti pubblici, ma persegue investimenti capaci di rilanciare l’economia di fronte alla crisi inedita dovuta alla pandemia».
La tanto promessa resilienza, ovvero la capacità di resistenze allo choc, è una sfida nella sfida per la Calabria. «Esiste un gruppo – prosegue Daniele – istituito presso il ministero dell’Economia, e di cui fanno parte il ministero della Coesione territoriale e altri dicasteri, che sta lavorando al Piano nazionale: è ovvio che si tratta di una pianificazione concertata con le Regioni, in cui vince chi presenta progetti più credibili e in linea con gli obiettivi». Dalla Cittadella trapela poco su come la Regione si sia attrezzata per la selezione di questi progetti, eppure a giorni Draghi incontrerà i presidenti perché i tempi stringono ma sotto il cielo della peggiore crisi di sempre la giunta calabrese si muove come un’anatra zoppa vincolata alle sole funzioni ordinarie.
«C’è anche un problema di vigilanza politica – conclude Daniele – perché ad esempio nella prima bozza di Piano, quella predisposta dal precedente governo, erano stati previsti interventi per l’alta velocità ferroviaria, le Zone economiche speciali e la portualità, e bisogna capire se nella nuova versione questi obiettivi verranno mantenuti, al pari del grande dibattito che si è determinato sulla quota del 34% dei fondi che andrebbero al Mezzogiorno: l’Unione europea ha incrementato i fondi per l’Italia, proprio perché c’è una grande area come il Sud che ha un forte ritardo storico, dunque se si vuole ottenere anche un riequilibrio territoriale bisogna fare in modo che almeno il 40% delle risorse vadano per gli interventi nel meridione».