Sono drammatici i dati sul Mezzogiorno contenuti nel rapporto Svimez presentato oggi alla Camera. Un Pil che arretra e l’inflazione a doppia cifra sono i due elementi che tengono legato al palo il Mezzogiorno. Secondo i dati raccolti nel 2023 il divario fra Nord e Sud rischia di allargarsi ulteriormente. I dati macroeconomici sono impietosi.

Il Pil del Meridione arretra, altrove continua a crescere (di poco)

Il Pil meridionale si contrarrebbe nel 2023 fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%. Il peggioramento del Pil nel Sud sarebbe dovuto alla congiuntura determinata soprattutto dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento nel Centro-Nord (+0,8%). In questo quadro la Calabria brilla in negativo. In Calabria il Pil scenderebbe dello 0,9% con la crescita più bassa d’Italia ad eccezione del Molise.

In base alle stime Svimez, l’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si traduce in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro per le imprese industriali italiane, ma Gli effetti dello shock energetico non sono omogenei, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali. La Svimez valuta che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all’8,6%, con forti eterogeneità territoriali: + 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro.

La ripresa del 2021 è già un ricordo

Il Mezzogiorno aveva, a pieno titolo, partecipato alla ripartenza nel 2021: il Pil meridionale è cresciuto infatti del 5,9%, superando la media dell’Ue-27 (+5,4%), beneficiando dell’inedita intonazione espansiva delle politiche a sostegno dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese che hanno contribuito a sostenere i consumi.  I sistemi produttivi delle regioni meridionali si sono mostrati meno pronti ad agganciare la domanda globale in risalita, registrando un ritmo di crescita dell’export più contenuto del resto del Paese. Gli investimenti delle imprese orientati all’ampliamento della capacità produttiva, inoltre, sono stati meno reattivi nel Mezzogiorno. Sono stati soprattutto quelli in costruzioni a crescere nel Sud, grazie allo stimolo pubblico (Ecobonus 110% e interventi finanziati dal Pnrr).

L’inflazione esplode

Nel corso del 2022 la Svimez ipotizza una crescita media dei prezzi al consumo dell’8,5%; dato che racchiude una significativa differenziazione territoriale: + 8,3% al Centro-Nord e +9,9% nel Mezzogiorno, con un differenziale sfavorevole al Sud dovuto in larga parte a un effetto composizione. Nel “carrello della spesa” del consumatore medio del Sud è, infatti, prevalente l’acquisto di beni di consumo, più colpiti dal rincaro delle materie prime; viceversa, al Centro-Nord assume un peso rilevante l’acquisto dei servizi, interessati da una crescita dei prezzi significativamente minore. La differenza nel “carrello della spesa” delle famiglie tra le due circoscrizioni si deve, a sua volta, all’ampia difformità nella distribuzione dei redditi a livello territoriale. La maggiore esposizione delle regioni meridionali allo shock inflazionistico emerge anche da una stima del numero dei nuclei familiari a rischio povertà assoluta. La Svimez stima un bacino potenziale di 287 mila nuove famiglie (e 764 mila individui) in povertà assoluta. Un incremento che, declinato territorialmente, corrisponderebbe a un aumento dell’incidenza della povertà assoluta di 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno contro lo 0,4 del Nord e lo 0,5 del Centro. In valori assoluti al Sud sarebbero circa mezzo milione di poveri in più. Il risultato stimato per il Sud è spiegato essenzialmente dalla maggiore diffusione nelle regioni meridionali di famiglie più numerose (numero di componenti maggiore di 3) e con minori a carico per le quali il rischio povertà è segnatamente più elevato rispetto ai nuclei più ridimensionati.

Occupazione e salari

Nel Mezzogiorno la ripresa occupazionale è stata tuttavia di bassa qualità, alimentandosi all’aumento della precarietà è tornata sui livelli pre-pandemia, in anticipo rispetto al Centro-Nord attestandosi su livelli comunque inferiori rispetto al 2008 (–2,9%), al contrario di quanto avvenuto nel Centro-Nord (+2,6%). Secondo le proiezioni l’inflazione rimane al di sopra della crescita salariale negoziata per il 2022, continuando a erodere i salari reali nel corso dell’anno. Tra il 2008 e il 2021 le retribuzioni lorde in termini reali si sono ridotte di circa 9 punti al Sud e di circa 3 al Nord. Il rischio di una spirale inflazionistica salari-prezzi è molto contenuto, tanto è vero che i salari reali sono previsti in calo. A ciò si aggiungono, in Italia, alcune peculiarità del mercato del lavoro che tendono a ostacolare ulteriormente la revisione al rialzo dei salari: l’ampia diffusione dei contratti atipici e, per le forme più stabili di impiego, la lunga durata dei contratti; il riferimento a previsioni di inflazione al netto della variazione dei prezzi dei beni energetici importati; la ridotta diffusione di clausole di rinegoziazione degli aumenti qualora l’inflazione effettiva superi quella programmata. Il fenomeno della precarietà “persistente” non è tuttavia omogeneo su base territoriale. Nelle regioni del Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore su 4 (23,8%, ma in calo di un punto percentuale rispetto al 2020), quasi 11 punti in più della quota che si registra al Nord (13%) e superiore di oltre 7 punti a quella del Centro. . Più precari e più a lungo, in sintesi: ciò si traduce in una maggiore percezione di insicurezza del lavoro nelle regioni meridionali

Prospettive

Secondo gli esperti della Svimez, questo quadro pone una duplice sfida alle politiche nazionali. Da un lato va assicurata continuità alle misure contro il caro energia: per mitigare l’impatto sui bilanci di famiglie, soprattutto le più fragili per le quali i rischi di una nuova povertà energetica sono più concreti; a favore delle imprese, per salvaguardarne l'operatività, rinnovando lo sforzo profuso durante l’emergenza Covid. Dall’altro, è essenziale accelerare sul fronte delle misure di rilancio degli investimenti pubblici e privati dando priorità alla politica industriale attiva per ampliare e ammodernare la base produttiva soprattutto meridionale, condizione imprescindibile per la creazione di buona occupazione. Mettere in sicurezza l’attuazione del Pnrr è cruciale: consolidandone la finalità di coesione economica, sociale e territoriale; potenziando le misure di accompagnamento degli Enti territoriali nella realizzazione delle opere; rafforzando il coordinamento del Piano con la politica di coesione europea e nazionale e con la politica ordinaria.