Durante il periodo del Covid, con il suo portale, ogni giorno aggiornava i calabresi con i dati sull’avanzamento della pandemia e metteva a disposizione analisi strutturate per comprendere in poco tempo ciò che la complessità dei numeri invece rendeva complicato. Adesso invece i suoi studi su come utilizzare i dati nell’analisi di alcuni fenomeni epidemiologici e pandemici sono approdati su Nature, la più importante rivista scientifica al mondo.

Questa è la storia di Francesco Branda, ricercatore calabrese diventato un punto di riferimento della comunità open data in Italia e che ha deciso di mettere a disposizione la sua capacità di analizzare dati, numeri e statistiche al servizio della medicina. Professore a contratto di Statistica Medica presso il Campus Biomedico di Roma, è l’ennesimo caso di cervello in fuga da un sistema universitario che non è riuscito ad accoglierlo: «Sono arrivato qui grazie alle pubblicazioni fatte con un docente che dopo diverse collaborazioni ha spinto tanto affinché lo raggiungessi: mi spiace tanto non essere in Calabria, ma adesso finalmente tutto il lavoro di questi anni viene valorizzato, all’Unical non c’era più spazio e dopo avere atteso tanto invano ho accettato questo incarico». 

Francesco Branda, dal portale Covid alle pubblicazioni su Nature

Francesco Branda è così, poche parole e tanti silenzi: molto spesso lascia parlare i numeri, quei numeri che se ben interpretati riescono a farci trovare soluzioni a molti problemi. A novembre Nature, la principale rivista scientifica al mondo, pubblica un suo contributo sull’andamento dell’epidemia West Nile: era riuscito infatti ad elaborare un modello statistico che riuscisse a prevedere l’andamento dell’epidemia, calcolando anche diversi scenari a fronte di variabili possibili. «L’Istituto Superiore di Sanità rendeva noti questi dati in pdf, quindi in un formato impossibile da trattare. Abbiamo quindi prima creato lo storico di tutti questi dati partendo dal 2012, poi abbiamo creato un database per provincia che ci ha permesso di ricostruire la storia di questa malattia in Italia, in quali zone colpisce di più, la sua diffusione e l’analisi di eventuali picchi, come nel 2018 e 2022: così è possibile creare un modello che, nel momento in cui si presentano le stesse condizioni faccia scattare un alert e permetta di prevenire. E stiamo facendo la stessa cosa con altre epidemie, come la Dengue». 

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Dal Covid in poi, infatti, è emersa la convinzione che saper analizzare i dati in medicina sia fondamentale: «Abbiamo avvicinato mondi che sembrano diversi tra loro, come la statistica e la medicina, ma che devono necessariamente camminare insieme - spiega il ricercatore calabrese - e il Covid fortunatamente ha accelerato questo processo. Adesso abbiamo un approccio one health, in cui sono fondamentali la disponibilità dei dati, la collaborazione degli statistici con chi analizza i fenomeni sanitari». 

In Calabria, invece, a che punto siamo?

«Non saprei dire, anche perché a parte il professor Abenavoli con il quale abbiamo fatto uno studio previsionale sul Covid non ho avuto modo di avviare collaborazioni strutturate: io avevo provato, con il portale Covida, a creare delle collaborazioni ma si è tutto fermato: ad esempio avevo creato uno spazio dell’Università della Calabria nel portale nazionale degli open data, ho richiesto più volte i dati ma mai nulla mi è arrivato e mi è stato fatto». 

Parlando di sanità, in Calabria la situazione come sappiamo è molto complessa. Sei stato contattato da qualcuno? 

«No, mai nessuno mi ha chiamato: non so se si utilizzino gli open data in sanità e non posso escluderlo. Ma dovremmo farlo, sono fondamentali, perché ti danno un’idea chiara del fenomeno, i numeri non mentono mai. Pensiamo alle liste d’attesa: si potrebbero monitorare le prestazioni sanitarie, capire dove potenziare le risorse ma soprattutto poter pianificare. Immaginate di avere una mappa o un grafico con tutti i reparti, quelli in sofferenza e quelli scarichi, quelli dove ci sono tempi di attesa lunghi e quelli in cui si può invece dirottare del lavoro. Sarebbe una svolta per la Calabria intera e per chi come il presidente Occhiuto sta lavorando». 

Lavoriamo con la fantasia: quali potrebbero essere altre applicazioni?

«Pensiamo ad esempio alla prevenzione: puoi realizzare dei modelli con strategie preventive, anticipando quello che arriva, in modo da non intasare mai le strutture. Sai che è in arrivo il picco dell’influenza, tu potenzi quei reparti anche solo temporaneamente ma fai in modo che non vada in sofferenza, riesci a prevenire. E poi le ricadute sarebbero immediate anche dal punto di vista economico e finanziario: immagini di avere in tempo reale un cruscotto che ti dice quali prestazioni ti costano più del dovuto, quali reparti sono inefficienti, dove le spese sono fuori dalla media. Tutto in pochissimo tempo, in pochi clic. Adesso invece quelle informazioni sono in documenti mail pdf, allegati o peggio ancora in carte volanti che vengono stampate e finiscono dei faldoni. Invece, strutturando questi dati, diventa più agevole per te lavorare, e soprattutto aumenti la trasparenza verso i cittadini». 

Cosa serve per creare sistemi di questo tipo? Quanto è difficile farlo in un contesto in cui ad esempio le Asp non hanno nemmeno i bilanci? 

«Innanzitutto, la volontà di farlo: con il Covid sono nate task force in pochissimo tempo. Bisognerebbe capire la fattibilità, perché servono proprio i dati: se qualcuno li raccoglie allora è più facile, vanno solo messi a sistema, ma non è detto che queste informazioni siano proprio disponibili. Se devo analizzare ad esempio l’incidenza di una malattia o di una particolare forma tumorale, devo innanzitutto avere a disposizione i dati: senza quelli, non faccio nulla. Abbiamo però visto con il Covid che la disponibilità dei dati è fondamentale: tra Natale e Capodanno influenza e Covid hanno messo ko gli ospedali di tutta Italia ma non era difficile da prevedere. Mettendo insieme gli open data e un progetto ben modellato, si sarebbe previsto il picco in arrivo e si sarebbe previsto un ampliamento, avresti avuto dati a disposizione per evitare l’intasamento. I decisori devono essere sempre supportati dai ricercatori, dobbiamo semplificargli il lavoro: se ci vedono come avversari, non ne facciamo nulla».