Come scalare l’Everest, ma forse più difficile, perché quando pensi di essere arrivato in cima scopri che c’è un'altra cresta da superare, un'altra parete a strapiombo che ti sbarra il passo. Sembra infinita la strada che conduce alla stabilizzazione dei precari calabresi, quei circa 5mila ex Lsu e Lpu che in teoria non dovrebbero più esistere da un pezzo ma nei fatti ci sono eccome.

Oggi la gran parte di loro sono lavoratori a tempo determinato contrattualizzati dai Comuni che hanno deciso di assecondare Regione e Parlamento, che nel corso del 2108, soprattutto in vista delle elezioni politiche, hanno spinto sulla possibilità di stabilizzazione facendo leva sulla riforma Madia, che prevede appunto un massimo di tre anni di lavoro a contratto. Superato questo limite, chi dovesse continuare a lavorare con contratti a tempo avrebbe la possibilità di fare causa agli Enti datori di lavoro.
È proprio questo rischio che nei mesi scorsi ha convinto un pugno di Comuni calabresi ad opporsi alla stipula dei contratti, continuando ad utilizzare i lavoratori come Lsu e Lpu senza intraprendere il percorso di stabilizzazione, ma resistendo stoicamente alle pressioni di sindacati e Regione, nel timore di non essere poi in grado di poter sostenere in futuro l’onere delle assunzioni a tempo indeterminato.

 

Futuro che è arrivato, visto che il 25 settembre prossimo tutte le amministrazioni comunali devo provvedere ad emanare i piani triennali di fabbisogno della propria pianta organica per il 2018/2020. Passaggio fondamentale, in considerazione del fatto che nel nuovo quadro normativo che disciplina la Pubblica amministrazione, la necessità concreta di personale da parte degli enti è uno dei presupposti da rispettare per arrivare alla stipula di nuovi contratti.
A distanza di una settimana esatta dalla presentazione dei rispettivi piani triennali di fabbisogno, i Comuni tacciono. Un silenzio che preoccupa i sindacati, tanto che la Cigl, giovedì scorso, ha sollecitato con una richiesta formale l’adozione dei provvedimenti, nella consapevolezza che senza di essi non sarebbero possibili le stabilizzazioni, a prescindere dalla disponibilità o meno delle risorse necessarie.

 

Oggi anche il segretario regionale dell’Usb, Antonio Jiritano, ha lanciato l’allarme, affermando che «cresce la preoccupazione dei lavoratori impiegati nei vari Comuni calabresi per il totale silenzio sulla scadenza del 25 settembre, un provvedimento necessario per sanare la situazione drammatica».
Su questa premessa, l’Unione sindacati di base chiede un urgente incontro ai presidenti di Regione e Anci, per «dare le dovute indicazioni ai Comuni nella redazione del Piano triennale del fabbisogno al fine di impegnarsi a procedere all’assunzione a tempo indeterminato dei precari attualmente impiegati».
I lavoratori a cui l’organizzazione sindacale si riferisce sono quelli che «hanno maturato presso gli enti utilizzatori oltre tre anni di servizio effettivo negli ultimi otto anni, sono in servizio con contratti a tempo determinato e sono stati già selezionati con le procedure previste».

Il problema di fondo, però, è che la maggior parte dei Comuni non ha, almeno sulla carta, esigenze di organico capaci di assorbire tutti i precari. Tanto che in passato, la Regione, per convincere gli enti più riottosi, assicurò l’adozione di una legge che avrebbe consentito di “spalmare” il fabbisogno di personale tra i diversi enti alle prese con le stabilizzazioni. Ma finora, di una norma simile non c’è traccia.

 

Enrico De Girolamo